Quante volte è capitato di prepararsi per un live e, montati gli strumenti, si procede ad un accurato soundcheck? I suoni, i volumi, i monitoraggi… tutto a posto, bravissimo il fonico, bell’impianto, tutto perfetto! Si inizia il live e tutto funziona a meraviglia, ma… a metà della scaletta sentiamo che qualcosa è cambiata.
L’ascolto non è più lo stesso, sono cambiati i suoni.
Sarà stato il fonico che ha modificato a “capocchia” i settaggi? Oppure il solito sapientone si è avvicinato al banco mixer e ha dato i suoi “illuminati” consigli?
Andiamo avanti comunque, ma, verso la fine della scaletta, non sentiamo più il cantante, il suono del nostro strumento è diventato bruttissimo e fiacco, c’è senz’altro qualcuno dei colleghi che ha tirato su, e di molto, il suo volume.
“Razza di bast… ma adesso ci penso io, acchiappo il pot del volume e gli faccio fare un triplo salto mortale carpiato con avvitamento, poi vediamo chi alza di più…”
Insomma, si scatena il bailamme, sul palco e fuori, e parte la sconsiderata gara ai rialzi di volume che neanche lo spread bond/bund sale così in fretta!
Cosa mai sarà successo, per determinare tutto questo caos? Semplice: è insorto, dentro il nostro orecchio, il fenomeno della “fatica acustica”.
In cosa consiste? Molto semplicemente, in un fenomeno di legittima difesa che il nostro orecchio medio mette in atto per proteggersi da danni permanenti per eccesso di stimolazioni sonore.
È noto, da tempo, in medicina del lavoro, che l’esposizione prolungata ad ambienti rumorosi provoca lesioni permanenti all’udito, tant’è che esistono leggi precise e severe per la protezione dei lavoratori esposti a tali ambienti.Nulla di tutto ciò esiste per noi musicanti/musicisti e… musicoffili 😉 .
Nell’orecchio medio esiste una catena di piccolissime ossa (martello, incudine e staffa) che trasmettono meccanicamente le vibrazioni del timpano (che reagisce alle vibrazioni ambientali) all’orecchio interno, dove sono allocati i recettori che trasformano le vibrazioni meccaniche in stimoli nervosi da inviare al cervello, che li elabora.
Una stimolazione eccessiva del timpano si trasformerebbe in una stimolazione eccessiva dei recettori sensoriali, che sono assai più delicati e, una volta danneggiati, non hanno alcuna possibilità di recupero.
La natura ha perfettamente previsto tali rischi ed ha messo a punto un meccanismo di difesa da essi.
Tale meccanismo è costituito da un muscolo, il più piccolo, fra quelli a struttura striata, di tutto il nostro corpo. Prende il nome di “muscolo stapedio”.Esso si attacca sulla parete posteriore dell’orecchio medio e sulla staffa (da cui il nome), e, all’arrivo di uno stimolo potenzialmente nocivo, si contrae velocissimamente, impedendo alla staffa movimenti eccessivamente ampi, che potrebbero danneggiare i recettori di cui sopra.
Ciò può avvenire in modo, per così dire, acuto, cioè per un singolo stimolo potenzialmente nocivo (ad es. un’esplosione), o in maniera continua, per prolungate esposizioni, per cui si contrae e rimane contratto per periodi lunghi, proteggendo l’orecchio interno da esposizioni nocive prolungate.
È proprio a causa di tale protezione che le nostre percezioni sul palco cambiano durante un concerto. Non è colpa né del fonico né dei nostri compari di live! È, infatti, il nostro orecchio che si adatta ad una situazione potenzialmente nociva.
Per quanto attiene alle difese, oltre all’ovvio evitare di esporsi a pressioni acustiche eccessive (abbassate il master!), io uso da tempo, con soddisfazione, tappi protettivi sia in sala prove che ai concerti. Sul palco no, ma è sufficiente evitare la guerra dei volumi, per stare abbastanza protetti.
Personalmente uso tappi della Etymotic, che mi danno un taglio dei dB e non delle frequenze alte, come invece fanno i tappi o le cuffie antirumore non specifici; frequenze alte che sono anche le più nocive in caso di sovraesposizione a db eccessivi.
Prima di litigare col fonico o col nostro vicino di palco, la prossima volta, pensateci!Dott. Mauro “docmau” Valocchi
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