Sin da piccola, Janis è una bambina un po’ speciale. “Ha sempre avuto bisogno di cure e attenzioni particolari”, ricorda sua mamma, “noi non avevamo il tempo di dargliele e lei le cercava fuori di casa”.
Un gruppo di amici mette per la prima volta Janis in contatto con la musica. La ragazzina ascolta, affascinata, i blues di Bessie Smith e Leadbelly, le canzoni folk di Odetta, il poderoso R&B di Big Mama Thornton. Di colpo, i suoi interessi virano dalla pittura verso il mondo delle sette note.
Quando frequenta la Thomas Jefferson High School, Janis è una ragazza diversa dai coetanei. “Leggevo, dipingevo, ascoltavo musica e… non odiavo i neri”, ricorda. Prende peso, si riempie la faccia di brufoli, si veste di nero come i poeti beat: i compagni la deridono e la emarginano. Nel 1962, quando si reca a Austin, per frequentare l’Università, il giornale del campus pubblica un articolo su di lei. Titolo: “Quella che osava essere diversa”.
Proprio a Austin, comincia a esibirsi nei locali. Anche la sua voce è diversa: Janis è bianca ma canta il blues meglio di una nera. La nota un giovane brillante. Si chiama Chet Helms, si innamora di lei e la porta in giro con sé per l’America.
Qualche anno dopo, quando Chet diventa un pezzo grosso della scena rock di San Francisco, si ricorda di quella ragazzina texana che cantava il blues come nessun’altra. La manda a chiamare e la fa entrare in una delle migliori band della città: Big Brother & The Holding Company.
Nasce così la leggenda di Janis Joplin, la prima rock star donna della storia.
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