A qualcuno potrebbe sembrare strana l’espressione “eroe dei due mondi”, di garibaldina memoria. In effetti, poco ha a che vedere con l’accezione originale, ma la si può usare per Coltrane in altro senso: il sassofonista della Carolina del Nord, infatti, incarna la perfetta unione di due opposti (almeno in apparenza…).
Basti pensare a due suoi capolavori come A Love Supreme e Ascension, incisi a distanza di pochi mesi nel 1965. Entrambi dischi di grande creatività, uno però armonioso e docile all’orecchio di chi ascolta, l’altro completamente lasciato a voli e movimenti scomposti, certo di non facile impatto e assimilazione per l’ascoltatore.
In A Love Supreme, Coltrane porta la musica verso movimenti ritmici ripetitivi come un mantra e quindi anche meditativi (d’altronde pare che la scintilla creativa gli fosse scattata durante una seduta di yoga), con fraseggi asciutti, che possono compiere grandi salti ma senza perdere il loro forte ancoraggio al sottofondo mantrico.
Il titolo è anche quello della sua poesia contenuta nelle note di copertina, un ringraziamento all’entità superiore che gli ha offerto il dono della musica e del talento.
L’album è un vero e proprio pezzo di storia del Jazz, tanto che gli scritti originali sono custoditi al National Museum of American History di Washington.
Ugualmente importante per la storia del Jazz è Ascension, che, invece, è completamente all’opposto come attitudine.
Dopo l’apripista Ornette Coleman, la musica “free” iniziava a farsi strada tra i jazzisti e Coltrane fu uno dei primi a portarlo da subito ad altissimi livelli di esecuzione. L’album è “violento”, un calderone di note “indigeste”; appare come una sagoma dai contorni affilati e taglienti.
Un disco dal passo martellante, pieno di piccole e grandi esplosioni che scagliano, in maniera apparentemente disordinata, frammenti roventi su chi ascolta.
L’opera è uno dei manifesti del free jazz, all’epoca ebbe un impatto tanto rivoluzionario quanto terrorizzante per musicisti e ascoltatori (molti abbandonavano con disappunto le sale concerto, stremati e disorientati).
Ma Coltrane aveva due anime opposte anche in sé stesso. Sempre molto pragmatico, assolutamente cosciente di tutto ciò che succedeva nella sua musica in merito di scale, accordi e note (e Giant Steps lo dimostra sensibilmente, con la sua geometria/numerologia perfetta), ma al contempo un uomo spirituale, legato alle filosofie orientali, che ha rifiutato la scienza e la medicina fino alla fine dei suoi giorni.
Il suo pragmatismo musicale lo portò anche a scontrarsi con colui che fu suo leader alla metà degli anni ’50, Miles Davis, che raramente dava ai musicisti la totale conoscenza delle opere che avrebbero eseguito, a volte solo pochi indizi, come in Kind of Blue.
E pensare che Davis all’inizio neanche lo voleva, ritenendo Sonny Rollins un sassofonista ben superiore, avendoli ascoltati insieme pochi anni prima.
Ma cambiò immediatamente idea dopo averlo risentito nel provino.
Nel maggio nel ’67, John Coltrane si trovava a Philadelphia con la moglie Alice (al suo fianco anche come superba pianista/organista/arpista), in visita alla madre. Da tempo era visibilmente ingrassato e accusava forti dolori al fegato. I periodi dell’eroina gli avevano deteriorato il fisico e il suo rifiuto di frequentare medici e controlli ospedalieri certo non gli erano stati d’aiuto.
Fu colpito da dolori molto forti, che ne intaccarono addirittura alcune facoltà mentali.
Continuando a rifiutare le cure, fu ricoverato solo in punto di morte. Si spense alle quattro del mattino, perdendo una battaglia mai combattuta, ma probabilmente senza speranza, contro un tumore al fegato.
Lasciando, tuttavia, un’inestimabile eredità al mondo intero: la sua musica.
A tal proposito, vi invitiamo alla lettura della bella serie di articoli di Claudio Faraci dedicati ai preziosi insegnamenti che si possono trarre dal masterpiece Giant Steps.
Aggiungi Commento