Per desiderio della famiglia, la cerimonia funebre rimane privata. Così, neanche quattro mesi dopo, Johnny può “riabbracciare” l’amata moglie e partner artistica June Carter, spentasi il 15 maggio del 2003.
Figlio di un modesto agricoltore dell’Arkansas, Cash aveva cominciato a cantare da piccolissimo, nei campi di cotone. Nel giro di 15 anni, poi, aveva inciso per la Sun Records di Sam Phillips e suonato nelle prigioni, si era sposato due volte, aveva condotto uno show televisivo di straordinario successo. Dopo aver costantemente vissuto sulla corsia di sorpasso, era diventato un’icona assoluta della musica e della cultura nordamericana.
Strenuo difensore dei più deboli nonché autentico paladino dei diritti dei Nativi Americani, Johnny Cash in segno di lutto e di protesta contro la povertà, i pregiudizi razziali e tutti mali della società americana aveva deciso di vestirsi di nero sino a che, come era solito dire lui, “le cose non cambieranno”.
Le cose non erano cambiate e così Johnny era diventato “The Man in Black“, incidendo oltre 1500 canzoni, vendendo 100 milioni di dischi, vincendo 11 Grammy, andando in classifica con 48 singoli.
Uno dei suoi pezzi più famosi (“I Walk The Line”) è stato registrato da più di 100 artisti diversi.
Photo by Heinrich Klaffs – CC BY 2.0
Alla fine degli anni ’90, il celebre produttore Rick Rubin lo ha riportato in sala d’incisione per una serie di album scarni, interamente acustici di grandissimo impatto emotivo. Sotto l’abile guida di Rubin, Cash ha riproposto alcuni suoi grandi classici ma anche originali versioni di rock song epocali.
Come “Hurt”, un brano dei Nine Inch Nails per il quale viene realizzato un videoclip assai suggestivo che sembra davvero l’epitaffio artistico dell’ “Uomo in nero”.
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