Dalle pagine della Storia della chitarra Rock, nuovo volume della collana diretta da Ezio Guaitamacchi per le Edizioni Hoepli… 16 dicembre 1993: il concerto acustico dei Nirvana per la serie Mtv Unplugged va in onda per la prima volta sull’emittente musicale USA. Il biondo Kurt Cobain, sguardo basso, aria raccolta, abiti dimessi, è eletto, suo malgrado, a portavoce di una generazione.
Al contrario delle star del glam metal che hanno dominato gli anni ’80, Kurt Cobain non ha pose e atteggiamenti da primadonna, non sfoggia vestiti sgargianti, non si lancia in virtuosismi, anzi il suo tocco sulla chitarra acustica elettrificata mancina è talvolta quasi malfermo.
Kurt interagisce con gli spettatori in maniera semplice e diretta, eppure il pubblico è completamente rapito dalla sua performance, con il fiato sospeso, quasi come se la tensione palpabile che traspare dalla sua voce potesse da un momento all’altro spezzare il filo che tiene assieme la sua anima.
Meno di quattro mesi dopo Cobain si toglierà la vita dopo essere fuggito da un centro di recupero per tossicodipendenze, lasciando un’eredità artistica che nessuno sarà in grado di cogliere.
Nonostante questo lutto, o forse anche grazie a esso, il successo dei Nirvana e di tutta la scena grunge avrà un altro picco entro la metà del decennio.
Mtv Unplugged in New York verrà pubblicato postumo, raggiungendo la vetta della classifica americana di Billboard. Sarà la terza volta per la band, da quando la Geffen, nel 1990, ne ha rilevato il contratto dalla storica Sub Pop, label indipendente di Seattle che fa da collettore della maggior parte delle produzioni targate “Seattle sound”.
Come tanti altri, i Nirvana crescono nel fertile humus culturale dell’estremo Nord-Ovest americano. Forse per l’isolamento, dovuto alla distanza dalle grandi città che dettano la moda in campo musicale e non, la zona di Seattle, negli anni ’80, è un continuo fermento artistico in cui heavy metal, hard rock, new wave, hardcore punk e rock psichedelico si ibridano, si scompongono e ricompongono.
Ancora una volta il principale veicolo espressivo del disagio delle nuove leve è la musica. La Generazione X è una generazione problematica, cresciuta in forte conflitto con i valori dei genitori e dell’establishment.
Lo spietato darwinismo yuppie divide il mondo in “winners” e “losers” a seconda del successo economico e sociale.
Allo stesso tempo, il capitalismo sfrenato cresce fino a esplodere in una spirale speculativa che nel 1987 genera una delle peggiori crisi economiche della storia americana.
La “american way of life”, modello di riferimento della maggior parte delle generazioni adulte, non è mai stata così poco credibile.
Nei quartieri ghetto delle grandi città, le minoranze etniche sono lasciate a se stesse dallo stato, e nella nuova giungla urbana il crimine è sempre di più un mezzo di sopravvivenza.
I giovanissimi vivono sulla strada e il legame fra le loro esperienze nelle gang malavitose e il loro mondo musicale si cementa in quel gangsta rap che ne rappresenta la protesta contro le autorità e in qualche modo la celebrazione di chi ce la fa anche se abbandonato.
I figli della middle class, schiacciati fra il rapidissimo cambiamento tecnologico e sociale di fine millennio e l’ondata dilagante della tossicodipendenza, sublimano la rabbia del punk nell’introspezione e nel confronto con se stessi.
Il motto “No future”, dal brano dei Sex Pistols del ’77 “God Save the Queen”, ora suona come una sinistra profezia: quel “future” non è altro che il presente dei giovani X, privi di prospettive e alla ricerca di un’alternativa.
“Alternative”, appunto, è il termine inglese che verrà usato per indicare in campo artistico tutto ciò che non fa parte del mainstream. Nasce così una vera e propria controcultura musicale, gestita autonomamente dai giovani, che trova voce in college radio, fanzine, etichette discografiche e studi di registrazione indipendenti, secondo la filosofia del Do It Yourself, tipica della scena punk.
Il Seattle sound si sviluppa in questo ecosistema musicale parallelo, in cui la ricerca artistica germina senza la pressione delle leggi di mercato delle major.
Questa atmosfera di scambio culturale e condivisione si manifesta non solo nella sperimentazione musicale, ma anche nel circolare dei musicisti in un melting pot di progetti artistici che porterà in futuro allo sbocciare di supergruppi come Temple of the Dog e Mad Season, dove militeranno elementi di band fondamentali come Soundgarden, Pearl Jam, Alice in Chains e Screaming Trees.
Seppure percepito da alcuni come un nuovo medioevo della chitarra e del rock più in generale, il fenomeno grunge riesce poco alla volta a farsi largo nei più grandi canali della cultura giovanile di massa, distruggendo le convenzioni musicali degli anni ’80.
Si spegne la supernova dei vecchi eroi, brillanti di luce divina e di glitter, assurti allo status di rockstar con i loro plateali eccessi e la loro spasmodica ricerca di fama.
Inaridiscono le melodie orecchiabili, gli assolo estrosi, le evoluzioni sulla tastiera della sei corde.
Il testo è estratto dal capitolo omonimo del libro La storia della chitarra Rock di Masperone e Tavernese, Edizioni Hoepli.
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