E lo fanno con il magnifico Back in Black. È un trionfo, uno dei dischi rock più belli di tutti i tempi.
Un trionfo per una band australiana che fino a pochi anni prima non aveva fatto intravedere un possibile successo di questa portata, ma che piano piano era maturata sempre di più, da una composizione piuttosto acerba incentrata sulle vecchie regole del rock’n’roll à la Chuck Berry, a quel Highway to Hell che aveva sorpreso anche i più scettici, con una scaletta di brani decisamente più articolati, anche se sempre affondanti le radici nel R’n’R.
È un trionfo per una band che da pochi mesi aveva perso tragicamente il suo frontman, Bon Scott, per un’ubriacatura di troppo. Cantante che proprio nell’ultimo album aveva dimostrato di poter osare molto con la voce e che ora, con il nuovo, avrebbe potuto salire definitivamente nell’olimpo dei più grandi del rock.
Al suo posto c’è Brian Johnson, cantante britannico, in parte di origini italiane per parte di madre (di Frascati), proveniente dai Geordie, glam rock band con qualche successo alle spalle.
La sua voce è unica nel mondo del rock, ma negli AC/DC sarà ben più graffiante e portata all’estremo che nella sua precedente band. La sua missione è faticosa, rimpiazzare un frontman come Scott e per di più con dei brani tutt’altro che facili da interpretare.
E ora chiudete gli occhi, sgombrate la mente. Mettetevi nei panni di un fan della band che nel 1980 torna a casa dopo l’acquisto di Back in Black.
Non c’è YouTube, non c’è lo streaming, forse ha sentito qualcosa per radio, ma forse no.
Nella sua mente si affollano i timori: questo disco tutto nero, funereo, sarà una delusione? Il nuovo cantante sarà all’altezza?
Arriva a casa, scarta il disco, lo mette sul piatto del giradischi, abbassa la puntina e… succede questo:
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