Per Hendrix doveva essere il disco perfetto e ci lavorò in maniera ossessiva tanto da distruggere alcuni suoi rapporti personali. In primo luogo con il produttore Chas Chandler, l’ex Animals che lo aveva scoperto e portato a Londra due anni prima, per rivoluzionare la musica e scombinare le carte in tavola a tanti chitarristi inglesi che si sentivano già i numeri uno.
Chas ne ebbe abbastanza di tutta quella gente che Jimi portava ogni giorno in studio, così come delle sue continue richieste di ripetere le take di un brano, che arrivavano anche a 50 a volte (con altrettante diverse versioni delle canzoni tra cui scegliere), come nel caso di “Gipsy Eyes”.
Noel Redding, il bassista, fu la seconda vittima. Noel in realtà non era mai stato troppo felice, da chitarrista, di essere stato relegato al basso, per quanto lo facesse per il più grande chitarrista vivente. Che, spesso e volentieri, in studio gli rubava il basso per dirgli cosa fare o addirittura incidere sue parti.
Ma anche per Noel era soprattutto il via vai di persone a rendere le session di registrazione estenuanti, cosa che del resto si può sentire anche nel disco stesso, ad esempio nella lunga e sinuosa “Voodoo Chile“, per la quale Hendrix aveva in mente di ricreare proprio l’atmosfera di un live club (a dire il vero le registrazioni non catturarono poi tantissimo del pubblico, così furono registrati con il mitico fonico Eddie Kramer rumori vari e poi mixati nelle tracce).
Ma Hendrix era comunque meticoloso, tanto sulla chitarra e sul suono che sugli arrangiamenti e dietro al banco mixer (un vero e proprio genio anche lì), e come Kramer conferma anche apparenti improvvisazioni erano in realtà guidate molto precisamente dal chitarrista di Seattle.
A proposito di registrazioni, non fatevi ingannare dal titolo dell’album. Questo fu registrato prevalentemente presso i Record Plant Studios di New York e gli Olympic Studios di Londra, mentre i famosi Electric Lady Studios furono creati dal chitarrista nel Greenwich Village di NY solo nel 1970.
Al disco vogliono partecipare molti artisti e amici di Jimi. Da Al Kooper a Steve Winwood, da Jack Casady dei Jefferson Airplane al chitarrista Dave Mason, passando per il batterista Buddy Miles che sarà con Hendrix nell’album live Band of Gipsys.
Quello che colpisce di più di “Electric Ladyland”, oltre ad essere il primo lavoro su doppio LP e quindi di durata sensibile, è la grande eterogeneità delle composizioni. Hendrix spazia a 360° senza limiti di sorta, dando al suo pubblico il più variegato esempio di stile mai ascoltato finora nella sua seppure breve discografia.
Anche quando fa una cover, la canzone diventa sua, come succede con “All Along The Watchtower” che ancora oggi molti faticano a discostare dal nome di Hendrix per il suo autore originario, Bob Dylan, di cui Jimi stesso era un vero e proprio fan sfegatato (interviste alle sue ex-fidanzate, o che dir si voglia, ci rivelano come lui le obbligasse ad ascoltare nota per nota tutti i giorni i dischi di Dylan).
Insomma, Hendrix stava dimostrando di voler, e poter, volare più in alto, di guardare al di là del genere musicale e del chitarrismo, verso progetti di ben più ampio respiro. E, prima della morte, farà alcuni tentativi con band allargate, come nel caso dell’esibizione a Woodstock.
In soli due anni un musicista aveva dimostrato di essere il migliore sul proprio strumento con il primo album, di essere un grande compositore con il secondo e di poter andare molto oltre grazie all’ispirazione, alle tecnologie e alla fusione con altri strumenti nel terzo.
Ben capiamo come mai Miles Davis in persona ci tenesse così tanto a fare un disco con lui, purtroppo mai realizzato.
Nella foto di copertina potete vedere le due cover dell’album, quella più nota (originale) a sinistra e a destra la primissima versione (riproduzione) che fu presto censurata e sostituita dalla più “pudica” foto del trio.
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