L’originale “Cross Road Blues” di Robert Johnson graffia quasi più della versione elettrica dei Cream di Clapton? Un confronto che è la storia del rock-blues.
Ci sono pezzi e canzoni che sono entrati nella storia della musica moderna anche per le cover importanti che ne hanno amplificato la notorietà. Nel primo di una serie di articoli dedicati all’argomento abbiamo pensato a una delle canzoni simbolo di uno dei padri indiscussi del blues e della chitarra in questo genere.
Chi ha bisogno di approfondire la storia di Robert Johnson lo può fare in una quantità di modi possibili, ma quel che importa è ricordare che ci sono lui o le sue canzoni dietro buona parte del rock-blues moderno. E che il suo approccio spesso ‘aggressivo’ allo strumento acustico sia stato d’ispirazione qualche decennio dopo per la chitarra rock in generale.
Il film di Walter Hill del 1986, Crossroads – Mississippi Adventure, con colonna sonora di Ry Cooder e la presenza in video di un giovane scatenato Steve Vai nei panni dell’allievo del diavolo, è una storia romanzata che affronta il mito di Johnson mettendo a confronto diretto stili tradizionali e moderni, slide guitar e shredding puro. Inutile dire che vince il Blues.
Nella realtà storica, quando il giovane Eric Clapton riprende la canzone e ne fa qualcosa di suo a fine anni ’60 è l’elemento di spicco nel primo super/power trio del rock, i Cream, dove la sua chitarra dal suono e fraseggio distintivo fa letteralmente scintille accanto al basso di Jack Bruce e alla potente batteria di Ginger Baker, fra contrasti e pressioni che porteranno a una rottura precoce della band.
La canzone originale fa parte di quel gruppo di incisioni realizzate da Robert Johnson in una camera di hotel in alcune sessioni di registrazione fra il 1936 e il 1937. La storia vuole che Johnson suoni e canti con la faccia rivolta a un angolo della stanza, magari solo per concentrarsi meglio o forse – secondo alcuni – per avere un suono migliore. La sua voce è acuta, tagliente, la chitarra è suonata con un picking deciso, una ritmica incalzante e libera dagli schemi.
Una delle ipotesi fatte di recente è che si tratti di canzoni velocizzate da una riproduzione falsata più o meno di proposito. Questo andrebbe a spiegare la timbrica acuta della voce e le tonalità anomale dello strumento, oltre che a tranquillizzare tutti coloro che trovano impegnativi certi passaggi, ma questa interpretazione è accettata da pochi.
Qualunque sia la verità, c’è una qualità particolare nell’ascolto. Oltre la suggestione delle storie sviluppate in seguito intorno alla musica del diavolo, al patto stipulato in quel fatidico incrocio con Satana stesso pur di diventare una grande chitarrista, c’è l’impatto fortissimo generato da una semplice chitarra acustica e dalla voce.
Riascoltandola oggi, non sorprende che sia stata l’ispirazione per quello che poco più tardi sarebbe stato battezzato semplicemente come… Rock.
Con la chitarra e il bottleneck Johnson suona poche note ma stende un tappeto movimentato su cui la sua voce ha modo di muoversi, acutissima e lacerante, senza preoccuparsi della metrica ma sottolineando ogni parola del testo.
La sua acustica fa quel che può per assecondare il “povero Bob” in mancanza di un amplificatore.
A confronto la robusta cover elettrica di Clapton e soci è quasi educata – paradossalmente – nella sua struttura ordinata, elegante, in un certo senso normalizzata. Eric la canta al top delle sue possibilità ma certo non arriva alla disperazione dell’originale, perdendo quel senso di mistero e di estraneità tipici di Johnson.
Eppure, confronti a parte, la “Crossroads” dei Cream ha tuttora un gran tiro, soprattutto nella registrazione live inclusa nel doppio album Wheels of Fire. Il riff è uno di quelli che hanno fatto la storia del rock-bues, la ritmica – nell’abituale jamming-style del trio – è giocata su un mid-tempo che permette a Baker e Bruce di tirar fuori tutta la loro versatilità.
Lo stile di Clapton è elegante e grintoso, apertamente consapevole dei suoi riferimenti come Freddie o B.B.King. L’assolo è citato da decenni come esempio del suo modo inimitabile di ‘parlare’ attraverso lo strumento, quella qualità che ha distinto costantemente il chitarrista inglese per l’incapacità di suonare note prive di senso musicale.
In epoca recente anche un altro musicista come John Mayer, chitarrista rock-blues sopraffino e songwriter raffinato, ha scelto di cimentarsi in quella che potrebbe essere definita una “cover della cover”, citando Clapton in una frizzante “Crossroads” inserita nel suo album Battle Studies.
Chi vince, dunque? Musicalmente nessuno e tantomeno dal punto di vista esistenziale. Johnson muore precocemente a soli 27 anni, forse avvelenato, e Clapton, dopo una vita travagliata, è arrivato oggi a confrontarsi con la nuova difficile sfida della progressiva impossibilità di suonare il suo amato strumento.
“Crossroad Blues” contrassegna due momenti storici, influenti – ognuno a suo modo – sul mondo musicale contemporaneo e sulla chitarra. A vantaggio di Robert Johnson lo spirito primitivo e un’energia sovrumana (diabolica?), per Clapton-Bruce-Baker valgono l’arrangiamento originale e la capacità di mischiare le carte con stile creando una nuova strada per tutti.
Che parte pur sempre da quel vecchio incrocio…
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