Definire un movimento giovanile in poche parole non è facile. Sono stati molti e hanno attraversato diversi anni come archi pronti a scoccare le frecce infuocate di ogni (programmata?) ideologia del secolo scorso e/o a rivoluzionare ogni dogmatismo superfluo.
“Angry Young Men” è un’espressione inglese per definire i giovani arrabbiati, interessati a degli argomenti comuni, incarnatisi in romanzieri, musicisti o attori di teatro e altro. Erano loro a muovere i pensieri. Gli stessi che si ritrovano tra gli appunti dell’autobiografia di Leslie Paul, fondatore del Woodcraft Folk, pubblicata nel 1951.
Ma come si incontra/scontra tutto ciò con la musica?
Ricordiamo tutti il brano degli Oasis, “Don’t Look Back In Anger”, che comincia su note che ricordano la famosa “Imagine” di John Lennon, per poi proseguire con uno stile tutto british tipico della loro musica. Anche David Bowie scrisse la sua “Look Back in Anger” l’esatto opposto, appunto.
In realtà i titoli di questi brani hanno un unico spunto di derivazione, poiché riprendono una nota opera di John Osborne che si intitolava proprio Look Back in Anger (“ricorda con rabbia”) ma entrambi i brani si discostano molto dal reale significato dell’opera inglese.
Tranne che per un tono di disappunto e un pizzico di ricordi malinconici, elementi che emergono nel testo dei fratelli Gallagher, unici punti in comune con l’opera del poeta-scrittore che raccontava le inquietudini morali tra i ragazzi della sua epoca in una società trappola dell’ipocrisia dei doveri sociali.
Parole, quelle dei Gallagher, che tralasciano un passato di cattiverie, dispetti e litigi, che pur tuttavia a lungo andare culmineranno con il loro scioglimento nel 2009, in attesa di un miracoloso ricongiungimento attesissimo da molti fan.
La rivoluzione, quella che i giovani degli anni ’90 non riescono più a portare avanti a differenza degli anni ‘50/’60 e come lo stesso testo degli Oasis dice in altre parole: “please don’t put your life in the hands of Rock ‘n Roll band that who’ll throw it away” (“per favore non mettere la tua vita nelle mani di una Rock ‘n Roll band che la butterà via”) e continua “gonna start revolution from my bed” (“inizierò la rivoluzione dal mio letto”).
Era il senso di impotenza dei ragazzi dell’ultimo decennio del secolo scorso, che si trovarono vittime di un mondo troppo difficile da comprendere anche per loro.
Difficile come quello in cui si trovò Kurt Cobain, in una vita passata a metà tra lussi e sofferenze. Il tutto emerge nella pietra miliare della sua discografia “Smells Like Teen Spirit”, che (malgrado un equivoco di fondo sul titolo, NdR) si colloca come un grido per risvegliare la massa di giovani nel momento che non si sentono ascoltati e rappresentati, incitandoli a farsi sentire a gran voce, mai dimenticando di combattere per ciò in cui credono.
Lo ricorda anche il cantautore italiano Brunori Sas nella sua, appunto, “Kurt Cobain”. Descrive la vita del chitarrista come immersa nella solitudine pur vivendola nel pieno del suo tempo, come lui stesso dice “Come ci si sente a stare sopra a un piedistallo e a non cadere“.
Le vite delle rockstar in bilico con un piede tra il paradiso e l’altro nell’oblio del successo, sempre alla ricerca infinita della massima gloria.
Un’altra figura emblematica nella scena rock è sicuramente Jim Morrison, ritratto di un ribelle per fin troppo tempo incompreso. Lui si ritrovò molto nei pensieri e negli scritti di Jack Kerouac e Allen Ginsberg, paladini della Beat Generation per eccellenza.
Il desiderio di aprirsi a nuovi mondi, conoscere altre culture e forme di religione come quelle orientali, il senso di ribellione agli status precodificati, sono elementi che appartenevano ai pensatori liberi e quindi allo stesso frontman dei Doors.
Tra errori e successi, tra delusioni e conquiste, lui ha vissuto la vita spingendola a volte fino al limite più estremo per testare appunto come essa stessa rispondesse alle sue azioni.
Rifiutava gli ideali borghesi e altolocati che contrapponeva all’accettazione di un’esistenza basata su ideali liberi e anticonformistici. Si fece liberamente ispirare dal pensiero nietzschiano, seguito dal concetto di “superuomo” come intuitiva propensione a vivere l’altissimo grado della vita possibile, un elogio alla vita, nella quale lui credeva profondamente.
Le parole tratte dalle sue composizioni sono intrise di teorie di Nietzsche sull’“Eterno Ritorno” come lo stesso brano “The End” (‘11 la durata , non indifferente), con le sue sonorità misteriose, fumose, che la ricoprono sin dalle prime note, a ricordare come la vita segua un ciclo di inizio e fine, accettandola così com’è, piena di eventi contrastanti tra di loro.
Nonostante tutto, mai ponendosi in una posizione di rassegnazione piuttosto di accettazione di un bene superiore, che è la Natura stessa.
Solo a quel punto potremmo vivere nella piena coscienza del presente, non del passato né del futuro. Possiamo dire che Jim Morrison e i Doors furono un simbolo di massima espressione della Beat Generation, riassunto nel loro modo anticonvenzionale di proporsi al mondo.
Rivoluzione musicale che portò il cambiamento fu il Rock’n’Roll, che arrivò come un fulmine inaspettato nella notte e musicisti come Chuck Berry diedero un impulso di energia e una svolta netta a quel periodo, innestando un modo di suonare del tutto innovativo e fuori dalle regole di quel tempo.
Lo stesso effetto che ha prodotto in Ritorno al Futuro Michael J. Fox che in una famosa scena suona proprio Johnny B. Goode prima della sua uscita, lasciando gli astanti quasi tutti sbigottiti.
Le proteste in poesia non mancano, quelle cantate dal menestrello si fissano nel tempo. Stiamo parlando ovviamente di Bob Dylan e della sua “Master of War” un vero e proprio simbolo di ribellioni nei confronti delle guerre e delle lotte belliche.
In particolare in questo brano si fa riferimento alla guerra in Vietnam, che in quei decenni imperversava nel sud est asiatico, i cui effetti ebbero ripercussioni in tutto il mondo. Si pose decisamente contro ogni violenza, utilizzo di armi da guerra e odio insensato contro il mondo.
Dalla Beat Generation alla Bit Generation
Siamo passati da una generazione che viveva “fuori dagli schemi” alla generazione dei “Millennials” che si propongono come gli avventori dei social media e di internet come lo stesso Sam Fender lo definisce nel suo brano: “I’am a Millennial, I’am young and dumb” (“sono un Millenial, sono giovane e stupido“), anche se lui stesso, come ha affermato in un intervista, non si sente di far parte di tutto ció.
Il rischio è quello di trasformarci da esseri umani in esseri robotici, di uniformarci alla tecnologia, di passare più tempo davanti uno schermo che nella vita reale, perdendo a poco a poco quella socialità, quei rapporti umani che ci tengono legati alla realtà.
La possibilità che la tecnologia si impadronisca della nostra vita (e non noi di essa, NdR) è un pericolo via via più possibile. Nel video del brano “Carmen” di Stromae si mostra, in modo macabro, un mondo immerso nei social network dove essi prendono il controllo delle nostre giornate decidendone tempi e modi di vivere, cambiando con un certo peso la nostra quotidianità.
I Muse con l’album Simulation Theory si sono avvicinati alla questione proponendo la tecnologia come fuga dalla realtà, con il loro stile particolare che tutti conosciamo ma questa volta con qualche aggiunta di sonorità futuristiche, vicine allo space-rock e al synth pop.
Stiamo a poco a poco lasciando la musica nelle mani completamente della tecnologia, stanno scomparendo sempre più gli strumenti fisici sostituiti da macchine che svolgono il processo dello strumentista.
Andremo avanti con la sicurezza che i veri “manipolatori delle note”, i veri musicisti e compositori, ci saranno per sempre?
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