La musica è un mezzo straordinario che si presta a molte interpretazioni per quanto riguarda valore e ruolo pratico nella vita di ognuno. Lasciando da parte funzioni secondarie come quella di colore o sottofondo, è evidente come possa essere un potente catalizzatore emozionale se non addirittura un mezzo di conoscenza.
Ma in che senso? Parliamone.
Il pretesto è un’email fra quelle che ancora popolano il mio vecchio indirizzo professionale, proveniente da un’agenzia inglese di PR dedicata alla promozione di eventi e festival.
Il titolo è evocativo e mi congela appena un attimo prima di premere il tasto “cancella”: “Scappa dal mondo reale con esperienze uniche di festival“.
Il concetto della fuga da quello che ancora cerco disperatamente di conoscere più a fondo mi colpisce come un vero e proprio controsenso, soprattutto in rapporto alla musica.
Per cui, approfondisco e mi vado a leggere il resto del comunicato, completo di link per una colorita scelta di foto.
Si tratta di festival programmati fra primavera ed estate 2018 in una serie di location che abbracciano tutta l’Europa, dalla Serbia all’Islanda, dalla Croazia all’Olanda e alla Latvia sul Mar Baltico.
Sul palco sono previsti anche artisti di grosso spessore, ma la parola d’ordine è una sola: “escapism”. Traduzione: fuga o evasione dalla realtà.
Secondo il mittente dell’email è questa una delle ragioni principali per cui il pubblico festivaliero di tutto il mondo viaggia anche a lungo per incontrare eventi che “offrono un’esperienza unica, proteggendo i presenti dal mondo esterno e promuovendo un atteggiamento positivo e un ambiente di consenso, accettazione.“
Caspita… Ci ragiono su un paio di giorni per non reagire troppo impulsivamente e mi chiedo cosa rappresenti per me l’esperienza di un concerto.
Il problema è delicato perché, indubbiamente, una volta immersi nella folla e nel mare del ritmo, delle note, è difficile ritrovarsi a ragionare sui più recenti casini politici o sul menu da scegliere per il prossimo pasto.
Eppure, non riesco a sentire l’esperienza musicale come straniante dalla realtà, anzi, potrei quasi dire che – al suo meglio – mi porta ancor più in profondità e lucidità all’interno della mia dimensione esistenziale.
Il risultato non è garantito e dipende senz’altro da fattori come la qualità della musica e il mio stato psico-fisico in generale, ma quasi sempre quando esco da un bel concerto, mi sento più forte, meglio preparato ad affrontare gli eventi.
E l’invito a fuggire dal mondo reale mi sembra quasi una blasfemia, pensando a personaggi di altissimo spessore come Peter Gabriel che hanno battezzato col nome Real World un’etichetta discografica e studi di registrazione che sono ancora un riferimento per tutto il mondo musicale.
Forse non è questo l’ambito in cui approfondire le motivazioni del buon Peter o di fare i bacchettoni, ma il controsenso è ancora lì.
Il puro e sano divertimento rimane una chiara parte dell’esperienza musicale, ballare è di per sé una cosa fantastica, ma continuo a chiedermi se sia eticamente corretto invitare la gente a “separarsi dal mondo reale” immergendosi in qualcosa di alternativo e “più sicuro”.
È veramente la cosa più utile o è qualcosa che rende ancora più drammatico il confronto con la vita quotidiana? Voi che ne pensate?
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