Cosa spinge un testo ad amarlo fino in fondo anche se passa del tempo? Quali caratteristiche deve avere un brano e come deve essere scritto?
Recentemente in un’intervista Max Gazzè alla domanda “come un brano debba essere scritto per attirare l’attenzione del pubblico” l’artista ha risposto: “deve essere fatto con il cuore e deve creare un climax, un’ascesa di emozioni, un evolversi di sentimenti nell’orecchio di chi la produce e poi di chi l’ascolta per la prima volta.”
Insomma le regole per una musica perfetta non esistono, deve seguire il nostro cuore e la nostra mente, il nostro istinto, il fiuto da musicista, da artista insomma. Brani che ci toccano il cuore, le corde dell’anima.
La possibilità di creare musica è infinita. Un estratto dal monologo tratto dall’acclamato film La leggenda del pianista sull’oceano recita così: “Tu pensa a un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu lo sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quegli 88 tasti la musica che puoi fare è infinita” e aggiungo io, ognuna con sonorità e stili diversi.
Cosa provoca “al corpo” l’ascolto di un brano? Com’è possibile che delle semplici note musicali ci facciano sobbalzare dalla sedia, esplodere di gioia, cambiare il nostro umore, far risplendere una giornata spenta.
Non a caso le note si propagano attraverso vibrazioni, non saranno quelle stesse vibrazioni che ci scuotono come foglie al vento in una giornata di tempesta?
Molte di queste domande si affastellano sempre più nella miriade di ricerche finora effettuate, non è ancora chiaro persino agli esperti del settore che studiano gli effetti della musica sulle persone, non tentano di conoscere fino in fondo come sia possibile tutto ciò.
È vero, sappiamo che la musica ha effetti benefici in alcuni disturbi cognitivi e di crescita come l’autismo e sembra funzionare, ma non sappiamo come intrinsecamente ciò accada.
Anche durante la gravidanza, è stato notato che il bambino nel grembo materno ascoltando musica classica, ad esempio, ha un effetto tangibile sullo sviluppo del suo cervello e delle zone preposte all’ascolto.
Quando e perché consideriamo un brano “eterno”?
Finora una prova ce l’ha data… il tempo stesso, forse unico metro di giudizio insindacabile rispetto a quella del critico musicale.
Brani come “Time”( non per farlo apposta) dei Pink Floyd rimangono ancora ora dopo 40 anni capisaldi della musica mondiale, che chiunque riconoscerebbe dalle prime note.
Oppure chi dimenticarsi “Smoke on The Water” dei Deep Purple. inFinite, album della stessa band del 2017, doveva essere il loro ultimo album e invece, come al solito, è stata un’occasione per divertirsi con le parole. Quel titolo fu dato per riaffermare il concetto del tempo senza fine in cui vive la loro musica. Il titolo non ha caso ha una scissione netta contrassegnata dalla lettera maiuscola nel bel mezzo della parola, a riaffermare ancora una volta, che i due concetti di infinito e finito si contrastano in un ossimoro perfetto, poiché la loro musica infinita si scontra con la fine del loro viaggio come band (o almeno così era nei piani, NdR), che purtroppo come ogni cosa nella vita avrá un inizio ed una fine.
Altra band “infinita” che salta all’occhio e all’orecchio sono sicuramente i sudetti Pink Floyd, di cui ricordiamo le sonorità psichedeliche a cui ci abbandoniamo oniricamente.
Gioco della sorte, il loro finale è l’album Endless River pubblicato nel 2014, grandi assenti Roger Waters e Richard Wright. Composto da brani che lasciano un senso di larghezza dei suoni, di sospiri lunghi e lievi, di pace eterna.
Qui si afferma, è chiaro, la volontà di affermazione di infinito dopo la morte come un fiume che scorre ma dà anche una sensazione di infinito della loro arte, dato che rappresenta la chiusa perfetta di tutta l’opera omnia.
Spostandoci per un attimo nella musica classica, un esempio strabiliante di connessione con l’infinito è rappresentato dalla composizione di Johann Sebastian Bach, “BWV 1079”.
Si intitola così la partitura ideata dal pianista e compositore. Ebbe la geniale idea di unire due spartiti suonati da due musicisti in modo che a un certo punto entrambi si incontrassero in un punto del brano e si scambiassero le parti, invertendo il senso di lettura dello spartito. Questo è il concetto matematico/geometrico (applicato anche a diversi campi della meccanica) che risiede nel Nastro di Möbius, appunto definito come un nastro che non ha né inizio né fine, né sotto né sopra, che possiede una sola faccia e un solo bordo. Un modo per affermare, se vogliamo, ancora una volta che inizio e fine sono collegati come appunto il brano.
Alcuni brani nel corso del tempo vengono arrangiati e coverizzati, quindi rigirati e ripresi da molti artisti moderni, perciò il loro significato viene riapprezzato una volta inserito nelle sonorità moderne anche da quella fetta di millennials che ignorava l’originale.
È successo per molti brani dance, pop o anche blues. Perdendo al tal punto anche l’origine stessa del brano, non riconoscendo più neanche il produttore originale.
Un esempio lampante di come la musica sia imprescindibile per l’intera umanità sin dalle origini di essa stessa dall’homo sapiens: pensiamo come gli strumenti musicali siano arrivati fino a noi praticamente immutati nella loro forma originaria, alcuni persino antichi di migliaia di anni come l’arpa o il flauto.
Incredibili storie e racconti che ci sono giunti fino a noi, superando popoli e periodi storici differenti. Sicuramente avranno passato il test dell’invecchiamento.
Insomma il concetto di infinito è per “pochi”. Le storie d’amore sono finite ma le storie d’amore scritte in versi musicali sono infinite perché si propagano nel tempo e nello spazio ed ognuno di noi ci si rivede a proprio modo, si rispecchia in quelle parole.
La musica, quella che conta per intenderci, non ha tempo.
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