Il suo lavoro pre-Zeppelin e l’amore per l’r’n’b di Motown e Stax sono protagonisti nell’intervista uscita su Chitarre n.165 nel novembre 1999.
Personaggio trasversale come pochi altri nel mondo del rock del periodo d’oro, John Paul Jones è uno di quei rari casi in cui l’esperienza e il gusto di un fine arrangiatore si accompagnano alla capacità di assaporare il ruolo ritmico di bassista in una band ad alto potenziale energetico, pur rimanendo in secondo piano dietro i suoi celebrati compagni.
John Paul Jones e Led Zeppelin, 1968 Photo by Happybeatle2 – CC BY-SA 4.0
Il suo carattere schivo lo ha preservato dalle tangenti autodistruttive come quella che ha cancellato John Bonham dall’elenco dei musicisti contemporanei.
La sua carriera più recente – oltre alla storica e brevissima reunion con Page e Plant nel 2007 – l’ha visto frequentare i palchi più che altro con strumenti alternativi come mandolino (un suo amore dichiarato) o lap steel, vedi collaborazione con il ruvido Seasick Steve.
In questa chiacchierata, raccontava ad Alessandro Staiti di un giovane musicista che nella Londra degli anni sessanta si poteva permettere di fare scelte pericolose con esito notoriamente molto fortunato…
John, tu hai una preparazione molto completa dal punto di vista musicale. Credo che pochi sappiano quanto hai fatto prima di formare i Led Zeppelin… quando avevi soltanto quattordici anni ti sei unito alla dance band di tuo padre, ed eri anche organista (lo strumento con cui hai iniziato) e direttore di coro…
Suonare l’organo mi permise di comprare la mia prima chitarra. Ho avuto tre carriere. La prima è stata quella di pop star. Ero con una pop band, avevamo tre hit nella top ten. Suonavamo in grossi teatri e le ragazzine urlavano per noi.
Poi lasciai perdere il suonare dal vivo e divenni un sessionman. Ero musicista di studio, arrangiatore e produttore. Questa è stata la mia seconda carriera, che ho abbandonato nel momento del massimo successo, quando non potevo accettare più nessun lavoro.
Tutti pensarono che ero pazzo ma io abbandonai ogni cosa e mi unii a Page. Così divenni una rock star. Non mi divertivo tanto nelle session. Ne facevo due, tre al giorno e per sette giorni alla settimana. Ero uno specialista nel genere Motown, soprattutto James Jamerson e Carol Kaye.
A parte le session, ero sempre in band di rhythm’n’blues. Gli unici dischi in cui potevi ascoltare davvero il basso erano quelli Motown e Stax.
La Motown era molto influenzata dalla musica latina, nessuno faceva cose simili. Mi piacevano Jamerson e Duck Dunn, che suonavano in modo semplice, ma grande. Per molto tempo non ho saputo chi fosse Jamerson. Dovevo suonare molta di quella roba nelle session quando la Motown andava di moda.
Gli arrangiatori non potevano scrivere una di quelle linee di basso e i musicisti più anziani volevano le partiture. E sapevano che potevano darmi una partitura di accordi sui quali io potevo improvvisare una linea di basso alla Motown/Stax piuttosto autentica, e loro stavano tranquilli.
Per altri in Inghiterra era troppo complicato suonare un basso in stile Motown, ma io avevo una sorta di comprensione istintiva per quel genere. Ero un tipo molto serio, bassista e arrangiatore. Facevo ogni session che potevo a quel tempo, ma stavo diventando pazzo a fare quel lavoro.
Guadagnavo un sacco di soldi, prima degli Zeppelin. Per questo pensavano che fossi pazzo a lasciar perdere tutto … Chi poteva immaginare che gli Zeppelin sarebbero diventati una rock & roll band? Stavo diventando un vegetale. Non dicevo nulla da un punto di vista musicale. Guadagnavo un sacco di soldi facendo venti trenta arrangiamenti al mese, per chiunque. Accettavo tutto il lavoro che mi veniva proposto, stavo diventando matto.
Anni fa stavo ascoltando un programma radiofonico, uno di quelli che passa in rassegna i vari periodi, e l’attenzione in quel momento era sul 1966. In un’ora di show, i soli dischi in cui non avevo suonato erano americani! Perfino ora mi succede di ascoltare qualcosa che avevo dimenticato di aver suonato e dico tra me e me: oh, ma quello ero proprio io!
Forse non molti avrebbero potuto indovinarlo avendoti ascoltato nei Led Zeppelin…
Mah, non è detto. Se ascolti bene la sezione ritmica dei Led Zeppelin era molto funky, perché anche Bonzo era molto nel rhythm’n’blues come me. Ci piaceva suonare in quel modo, funky e soul, che ci rendeva così differenti da ogni altra band.
Non importa davvero quale strumento io stia suonando, guardo più alla cosa nelle vesti di arrangiatore o di produttore. Quel che conta per me è il sound della band, non il singolo strumento, così cerco di adattarmi, alla situazione.
Molta della mia musica si è sviluppata attraverso i Led Zeppelin, ma vi è una linea di demarcazione piuttosto netta. Sono orgoglioso della musica che abbiamo fatto a quei tempi, credo che siamo stati una delle migliori band al mondo, ma io volevo andare avanti, spingermi oltre piuttosto che guardarmi indietro.
John Paul Jones alla lapsteel guitar, 2009 Photo by Craig Carper – CC BY 2.0
I Led Zeppelin si sono sciolti soltanto a causa della morte di John Bonham?
Esclusivamente per la morte di Bonzo. Questa fu l’unica ragione. Niente John Bonham, niente Led Zeppelin.
Un po’ come i Beatles con John Lennon?
Forse anche di più. Perché i Led Zeppelin non erano una band di canzoni, ma una band basata molto sulla performance strumentale: spesso i testi arrivavano per ultimi, mentre il duo Lennon/McCartney componeva prima la canzone e la performance veniva in seguito.
Con il mio album non mi sono dovuto preoccupare di niente, se i pezzi sarebbero piaciuti ad altri musicisti o cose del genere: questo è uno dei vantaggi del suonare da solo! Quando sei con una band escono fuori davvero delle cose buone, ma è sempre un compromesso.
Abbastanza spesso il compromesso è buono. Ma d’altro canto vi sono cose che vorresti fare senza l’input di nessun altro. Ti vuoi veramente mettere alla prova per vedere fin dove puoi spingerti. Vi è spazio per ambedue le situazioni: una l’ho provata, ora è il momento dell’altra.
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