Un aspetto critico per la conservazione di questo immenso e spesso unico repertorio sonoro che si basa anche su alcuni supporti ormai centenari, è dato dalla differenza dei supporti stessi che si sono succeduti nel tempo e dall’esigenza di effettuare regolarmente riversamenti per evitarne il deterioramento, sia per problematiche dovute alla corretta conservazione (per fattori quali umidità, cambi di temperatura ecc ecc) che per la necessaria riproduzione durante gli ascolti.
Basti pensare che i supporti iniziano dai cilindri di Edison, inventati nel 1877 anche se la commercializzazione di supporti pre-registrati iniziò nel 1885 e la loro storia gloriosa terminò con l’avvento dei dischi a 78 giri che semplificarono la produzione industriale, ridussero lo spazio occupato ed eliminarono problemi di fluttuazione della velocità… ma non consentivano la registrazione.
In realtà il disco era stato preceduto nel 1857 dal phonautographe di Scott de Martinville ma non c’era modo di riprodurre questi dischi (infatti solo nel 2008 i ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory sono riusciti a ri-convertire in suoni alcune di queste “registrazioni”, usando dei computer in grado di convertire le onde sonore impresse nella carta in suoni veri e propri).
Il disco a 78 giri fu messo a punto in Germania da Emile Berliner che nel 1892 commercializzò l’apparecchio per la riproduzione e i primi dischi con diametro di 127mm (5″), cui seguirono nel 1895 i dischi da 175mm (7″) e nel 1901 da quelli da 254mm (10″) altra innovazione importante fu la registrazione su entrambe le facciate messa a punto dalla Columbia Records del 1908.
Emile era nella musica a 361°, infatti insieme al fratello Joseph Berliner nel 1898 fondò ad Hannover la Deutsche Grammophon.
A questi dischi in gommalacca, seguì nel 1948 la realizzazione di dischi in vinile da parte Columbia Records, all’inizio come evoluzione più affidabile del 78 giri poi con l’introduzione di supporti a 33.1/3 di giri al minuto LP (ossia “long play”) mentre la RCA Victor introdusse a Marzo del 1949 il 45 giri. I vinili videro anche altri standard che nel tempo divennero sempre meno diffusi quali 16.2/3 e dischi di diametri diversi dai classici 175mm (7″) e 300mm (12″).
Oltre questi supporti standard l’immenso patrimonio dell’Istituto comprende supporti meno diffusi quali dischi a 99 giri, padelloni RAI, lacche, matrici, dischi di cartone e VHS.
Altro tipo di supporti sono le registrazioni effettuate generalmente in esterni e con apparecchi portatili su filo metallico e nastri magnetici nei vari formati (1/4″, stereo 8 e cassetta)
Ben più noti i supporti degli ultimi anni derivati dal CD introdotto nel 1982 da Sony & Philips, anche se i primi studi “ufficiali” di quest’ultima risalgono al 1975, e da tutti i supporti similari e/o derivati quali DAT, SACD, DVD e Blue Ray disc.
Oltre la conservazione dagli anni ’70 in poi si è affrontata anche la problematica del restauro audio che è sicuramente la missione più impegnativa portata avanti con la massima professionalità dai dipendenti dell’istituto con un approccio filologico ma togliendo, ove possibile, i segni ed i segnali del tempo.
Questa operazione delicatissima è passata dall’editing analogico alle più sofisticate tecnologie digitali contemporanee. Infatti i primi riversamenti per il salvataggio del patrimonio erano effettuati riversando su nastro magnetico analogico l’audio dei supporti originali facendo con grande accuratezza tagli di pochi millimetri, con strumenti “primordiali” quali taglierina e nastro adesivo, per eliminare i millisecondi di segnale con rumore.
Questi sistemi meccanici erano coadiuvati dai primi dispositivi elettronici quali noise gate ed espansori negativi (in basso) del rumore di fondo, come quelli messi a punto dal mitico Fermo Tassoni (EFT) nei suoi dispositivi antesignani della serie 500 alti solo 2U rack!
Il restauro in dominio digitale iniziò con il Sonic Solutions, soluzione creata da ex dipendenti di Lucasfilm che svilupparono il sistema di editing audio digitale SoundDroid come parte del progetto Droid Works, diventata talmente importante da ricevere un Emmy Award per la realizzazione tecnica nel 1996.
Questa prima DAW realizzata specificamente per il restauro audio aveva i primi de-clicker e de-noiser per eliminare i fastidiosi rumori dai dischi e dai supporti magnetici della prima ora… ma le operazioni richiedevano tali risorse ai computer di quel periodo da dover essere lasciate lavorare off line a fare passaggi su passaggi sempre più raffinati per una notte intera!
L’attuale soluzione adottata dal personale tecnico prevede l’uso di Steinberg Nuendo il cui flusso di lavoro è agevolato dalla versatile e intuitiva console di controllo Yamaha Nuage; nell’Istituto ci sono due postazioni che si diversificano fra di loro solo per il numero di “canali” a disposizione (l’allocazione dinamica delle tracce consente di gestire i “canali” nel modo migliore per ogni lavorazione, anche se generalmente il numero di tracce da elaborare è limitato a 2, registrazioni stereo).
Questa operazione sta portando alla totale digitalizzazione del catalogo che amplia notevolmente per i cittadini interessati la possibilità di fruizione in qualsiasi momento. Interessante è l’approccio musical-tecnologico che non prevede di rendere omogenei i livelli dei diversi supporti con una semplice (e a volte brutale!) normalizzazione ma intervenendo per ogni brano in modo accurato e certosino con il guadagno!
Torneremo sui dettagli di queste operazioni con articoli di ulteriore approfondimento tecnico con gli operatori dell’area tecnica Carlo Cursi e Bruno Quaresima, che ringrazio per i contributi e la disponibilità durante i nostri incontri e i successivi brainstorming per la scrittura dell’articolo.
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