Il festival di Woodstock cinquant’anni dopo: l’anno prossimo sarà trascorso mezzo secolo esatto da uno degli eventi cruciali della storia della musica moderna.
La notizia è questa: sarebbe in fase di organizzazione una Woodstock 2019, celebrazione dei cinquant’anni della rassegna che tra il 15 e il 18 agosto del 1969 portò diverse centinaia di migliaia di spettatori, in maggior parte giovani affini agli ambienti della controcultura, nell’area di Bethel, non lontano dalla località che da allora indica genericamente il festival (per l’appunto la cittadina di Woodstock, nello stato di New York).
L’evento dovrebbe realizzarsi durante l’estate del prossimo anno, presumibilmente nella stessa location occupata all’epoca. Al momento in cui scriviamo nessuna conferma ufficiale risulta ancora rilasciata, nè tantomeno la benchè minima indicazione sull’eventuale lineup, ma è bastata una sola voce a scatenare il putiferio di indiscrezioni: quella di Michael Lang, uno degli organizzatori del festival originario.
Lang, venticinquenne nel 1969, fu uno dei quattro iniziatori di “An Aquarian Exposition: 3 Days of Peace & Music“, quello che nelle intenzioni iniziali doveva essere un festival di provincia con non più di centomila spettatori e che invece finì per diventare un’icona della musica degli ultimi cinquant’anni. Un progetto, quello dell’edizione 2019, che secondo le dirette parole dell’organizzatore sarebbe in valutazione, o possibilmente in fase di lavorazione.
Non è sfuggito molto più di questo a Lang, se non che l’occasione porterebbe con sè un’inevitabile dose di nostalgismo, il quale sarebbe però (sempre secondo le sue considerazioni) non del tutto fuori luogo in un contesto americano che per certi aspetti sembra ripresentare tematiche e contenuti affini a quelli dell’attualità dell’epoca.
Ma in fondo questo sarebbe davvero il male minore, considerando poi che si tratterebbe di una celebrazione. Al di là di tutte le questioni meramente organizzative, le quali con una buona base di intenzioni e disponibilità economiche sarebbero ampiamente archiviabili, c’è un interrogativo più o meno comune a tutte le discussioni sull’argomento: chi salirebbe sul palco nell’anno di grazia 2019?
Cinquant’anni fa questo interrogativo era probabilmente in fondo alla lista di problemi da risolvere per un ben fornito organizzatore di concerti dell’area rock. Come avrebbe potuto non esserlo, se il panorama contemporaneo contemplava dei personaggi già istituzionali come Jimi Hendrix, Janis Joplin, The Who, Jefferson Airplane, o che sarebbero diventati tali di lì a poco? Senza contare il numero di defezioni tra gli altri “grandi” della musica contemporanea, come i Led Zeppelin o i membri dei Beatles allora in disfacimento, o anche un certo Bob Dylan, i quali rifiutarono l’invito per ragioni di diversa natura.
L’abbondanza di artisti contemporanei, quantomeno nei contesti musicali di riferimento, non è purtroppo un punto in comune tra gli anni 1969 e 2019. La prima risposta alla domanda di cui sopra sorgerebbe in tutta la sua ovvietà: potremmo vedere sul palco molti dei “superstiti” di quell’epoca. Carlos Santana, Neil Young (che all’epoca si esibì assieme a Crosby, Stills e Nash), i vari Roger Daltrey e Pete Townshend (Who), senza contare alcuni dei membri delle principali band assenti, tutta gente ancora in attività che potrebbe tranquillamente (e a buona ragione, vista la ricorrenza) dire la sua in un evento del genere.
E sicuramente gli appassionati (chi scrive in primis) sarebbero entusiasti della partecipazione dei suddetti alle celebrazioni dell’evento che ha fatto epoca nella storia del Rock. Al tempo stesso però, una lineup con una prevalenza di artisti già sulla cresta dell’onda all’epoca non potrebbe non far sorgere quantomeno qualche rammarico sulla scarsità di alternative proposte dal panorama musicale di oggi.
La solita, trita considerazione sulla “morte del Rock“? Non tanto, se ci si prende qualche minuto per ipotizzare una lineup che escluda artisti e band che hanno raggiunto il successo di pubblico diciamo entro gli ultimi trent’anni (e parlando di una rassegna che andrebbe a realizzarsi nel 2019 siamo stati di manica ben larga).
Ragionando in questo lasso di tempo, alcuni nomi verrebbero in maniera abbastanza semplice: Foo Fighters e Pearl Jam, non fosse altro perchè continuano a macinare sold out nonostante gli anni passino, così come gli U2 che farebbero però storcere il naso a più di qualcuno in un contesto del genere; fuori quota ma presente a pieno titolo potrebbe essere Bruce Springsteen, così come i Guns N’ Roses, che hanno da poco ripreso a calcare i palchi.
Una contaminazione di generi rispetto al festival del 2019 sarebbe poi pressochè inevitabile, considerando il largo riscontro riscosso negli anni successivi dal metal e dagli ambienti che gravitano intorno al grunge.
Oltre a tutto questo, che a guardarlo bene può sembrare abbastanza ma che si ridimensiona drasticamente se rapportato alla lineup di cinquant’anni fa, bisognerebbe iniziare a snocciolare nomi ben più arditi, come quello dei Coldplay, i quali però sono attualmente lontani anni luce da quegli iniziali episodi musicali che avrebbero potuto relegarli di diritto in una rassegna del genere, e si finirebbe inevitabilmente incontro alle famigerate tre parole Greta Van Fleet (i quali, se non altro, porterebbero una pesante dose di revival estetico).
Sia come sia, benchè il Rock possa definirsi ancora vivo (anche se non al massimo della sua forma, diciamo), non vorremmo trovarci nei panni di chi si ritroverà a scegliere i nomi per la lineup di questo Woodstock 2019, sempre se alla fine il festival si farà. Da un lato lo spettro della nostalgia è sempre in agguato, dall’altro il rischio di orientarsi su nomi fuori luogo o troppo commerciali è dietro l’angolo e potrebbe provocare una pessima pubblicità all’evento.
A valle di tutte le considerazioni di natura musicale, c’è da fare una riflessione sul contesto umano di un evento del genere. Chi non ha vissuto l’esperienza diretta di Woodstock è costretto a barcamenarsi tra l’idea di un poco raccomandabile mega-ritrovo di personaggi dalle dubbie abitudini e quella di un festival in cui i concetti di pace e amore fraterno trovarono una totale realizzazione: la verità sarà presumibilmente da qualche parte nel mezzo, ma all’atto pratico l’importanza di un’esperienza del genere nel tecnologico e a volte anaffettivo 2019 potrebbe dare un impulso inaspettato grazie al risonante volume che anche soltanto la parola Woodstock porta in sè.
I dubbi sull’appropriatezza di una simile manifestazione nel contesto sociale e musicale del secondo decennio del ventunesimo secolo non possono mancare, a causa delle ragioni esposte sopra. Tuttavia la speranza è che questa celebrazione venga infine realizzata, che prevalga il buon senso nell’organizzazione e che tanto gli artisti quanto il pubblico riescano a rispettare i principi alla base del festival originario: ma soprattutto che da questo evento si riesca a ricavare nuovi stimoli per un panorama musicale che sembra averne davvero un gran bisogno.
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