“Supergruppo”, quante volte abbiamo sentito questa parola? Quando le punte di diamante di altre band si mettono insieme le aspettative schizzano verso l’alto, a volte arrivano sugli scaffali dei negozi (quanto suona oramai anacronistica purtroppo questa frase? NdR) dischi decisamente degni di lode, altre volte, diciamolo, è un disastro completo, la classica squadra di calcio di 11 campioni che non si passano la palla.
I Bad Company l’equazione l’hanno risolta con un dream team di tutto rispetto e un album che ha decisamente il suo perché. Forse qualche nome dei membri della band non sarà più così noto oggigiorno, ma all’epoca avevano un certo peso.
La formazione è un classico quartetto, con in più qualche ospitata, ma col contagocce.
Il sound deriva direttamente da quello che il leader e cantante, Paul Rodgers, insieme al batterista Simon Kirke, portano dalla loro ex-band, i mitici Free (quelli di “All Right Now” per citare un brano che tutti conoscono, anche se fidatevi, c’è altro da scoprire nella loro discografia…).
Si tratta di un suono senza molti fronzoli, che ci catapulta in sala con la band, in cui il timbro degli strumenti non ha molto trucco e parrucco. Un sound decisamente classic rock, uno stile molto orecchiabile e dei brani che confluiscono in un album d’esordio assai gradevole.
Non un “capolavoro”, certo, ma sicuramente degno di essere sopravvisuto fino ad oggi e di essere riascoltato e riscoperto anche dalle nuove generazioni.
A voi l’ascolto e, se vorrete, un parere nei commenti qui sotto.
Buon weekend!
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