La libertà è avere il coraggio di uscire dalla propria “comfort zone”. Se Iggy Pop ne ha mai avuta una – di sicuro più simile a un party alle 4 di mattina che a un Karesansui – con il suo Free ha decisamente trovato un altro se stesso.
Free è un disco di Iggy Pop. Questo bisogna dirlo immediatamente a piena voce. Non è un disco sperimentale, non è un disco “b-side”, non è una mera frivolezza da artista oramai anziano che “prova a darsi un tono“.
Perché, nonostante tutto, nella voce bassa, pacata, baritonale di Iggy, si riconoscono ancora tutti i segnali della sua personalità, per chi sa ascoltare ovviamente e non giudica solo in base alla velocità del brano o agli strumenti che accompagnano il canto.
D’altronde, Free è figlio di un lato dell’Iguana che certo non è stato mostrato così spesso. Ne avevamo avuto un assaggio nel disco di Jamie Saft che già vi avevo consigliato, con alcuni brani in cui c’era questa strana e bellissima mescola tra il punk rocker per definizione e le calde atmosfere del Jazz.
Ebbene, su questa linea, o meglio, anche su questa linea, Iggy prosegue la sua composizione, arrivata in un momento della sua vita in cui lui stesso ci racconta di essersi sentito “svuotato”, “insicuro”. In particolare dopo la conclusione del progetto Post Pop Depression al fianco di Josh Homme (QOTSA).
E allora, ci immaginiamo il settantaduenne Pop dire semplicemente “fuck, farò quello che mi pare“.
Così è stato. A noi l’ascolto, spiazzante ma sempre più coinvolgente ogni volta che lo facciamo ripartire daccapo.
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