Non ho alcun dubbio nel definire questo This Wild Willing di Glen Hansard una perla rara, il suo miglior album, la prova che esistono ancora grandi cantautori.
Ve lo avevo detto, saremmo tornati ai giorni nostri. E avvicinarmi al presente più di così è davvero impossibile, perché oggi vi parlo di un disco che è uscito appena due settimane fa.
Partiamo da un fatto: che ne siate coscienti o meno, è quasi impossibile che non abbiate mai sentito parlare di Glen Hansard. Partiamo da un dato storico, quasi mitologico se parliamo di musica e cinematografia: Glen è il chitarrista Outspan Foster nel film The Commitments, pellicola di Alan Parker (sì, quello di The Wall) che chi è cresciuto a cavallo tra gli ’80 e i ’90 non può non portare nel cuore.
E chi non ha ancora visto questo film, cosa diamine state aspettando? Correrete poi velocemente ad acquistare la colonna sonora…
Hansard è quindi un bravissimo musicista, ma anche un attore con alle spalle diversi film.
La sua carriera da cantautore, subito dopo i 3 dischi con il duo The Swell Season, inizia nel 2012, per arrivare ad oggi con questo nuovo album che, fino ad ora, è da considerarsi il suo capolavoro.
Badate bene, se siete abituati alle sue vecchie sonorità, aspettatevi un certo tipo di collegamento, senza dubbio, ma inserito in atmosfere ben diverse. Rispetto al precedente lavoro, il buon Between Two Shores, qui gli arrangiamenti cambiano prospettiva, si dilatano, si arricchiscono di nuovi elementi. E il messaggio che viene comunicato è una stupenda nuova dimensione cantautoriale per Hansard, ben più profonda.
Il disco è stato concepito e inciso durante il soggiorno dell’artista a Parigi, con un folto gruppo di collaboratori e amici (ben 24 musicisti!) e nuove collaborazioni che hanno portato il buon Glen a esplorare musicalità ben lontane dalla sua cara Irlanda (anche se la tradizione di quest’ultima è comunque presente chiaramente in alcuni brani).
Lo hanno portato, infatti, a respirare un’aria che vive decisamente più ad est, sicuramente portata nelle sue “stanze” dalla collaborazione con gli iraniani Khoshravesh Brothers. Hansard è stato introdotto alla loro musica dalla cantante classica Judith Mok e da lì è nata la loro conoscenza, poi trasformatasi in una joint venture vera e propria.
Accanto a strumenti tradizionali “occidentali”, come chitarra ed archi, c’è spazio per strumenti etnici come il kamancheh o il flauto ney, ma anche per il banjo o il bouzouki, senza farsi mancare le parentesi elettroniche del Moog o di una drum machine come nella opening track. C’è molto, davvero molto in questo disco e non è un’accozzaglia di idee, ma un’ispirazione che è stata sapientemente e intensamente assecondata.
Soprattutto l’inizio dell’album è composto da una serie di crescendo, brani che hanno delle magnifiche esplosioni e che mischiano suoni tutt’altro che scontati.
Onestamente, basterebbe la sola “Don’t Settle” a giustificare il prezzo dell’album. Ma è un piacere scoprire che non si tratta solo della “canzone più riuscita”, ma una perla in mezzo ad altre perle, perché ogni singolo brano è tutto da scoprire, lasciandosi trasportare ad occhi chiusi in questa “casa” tutta nuova (o per meglio dire arredata ex novo) dell’artista irlandese.
Bravo Hansard, bravo come tutti gli artisti che hanno il coraggio di cercare nuove strade e riescono ad evolversi senza rinnegare il proprio passato e la propria matrice.
A questo punto, lo aspetto a Firenze visto che sarà nuovamente al Firenze Rocks insieme, come due anni fa, all’headliner Eddie Vedder. E dirò un’eresia per molti, ma a questo punto, non so chi aspetto dei due con maggiore entusiasmo!
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