Se la prova finale del Big Bang è stata data dalla scoperta della radiazione cosmica di fondo, il Trip Hop prova a sua volta che nella seconda metà degli anni ’90 non c’è stata solo robaccia commerciale da Festivalbar, starnazzamenti da boy/girl band, echi di morte di generi precedenti e una loudness war sempre più crescente (toccherà il suo peggio all’alba del nuovo millennio) coniugata a discutibili realizzazioni musicali in ambito “heavy” degne più delle gare di decibel nel car audio che dei buoni ascolti.
Invece, dall’inglesissima Bristol, ad opera del collettivo dei Wild Bunch, arriva un nuovo genere che mischia in maniera molto particolare e innovativa tutto ciò che all’epoca è maturato nella tecnica dei DJ e producer di musica elettronica con i vecchi retaggi del Jazz, Soul, Funk, nonché Hip Hop e Rap.
Le produzioni sono spesso di altissimo livello qualitativo, non solo come registrazioni (basti pensa a Mezzanine dei Massive Attack, ancora oggi ritenuto un “disco test” per l’Hi Fi) ma anche e soprattutto come qualità delle composizioni e performance dei musicisti, perché oltre al lato elettronico – comunque di non facile realizzazione – stiamo parlando anche di dotatissimi musicisti “suonanti”.
In questo panorama i Portishead rivestono un posto d’onore in particolare per quanto riguarda l’influenza del Jazz e delle atmosfere “noir“, una musica in bianco e nero potremmo dire, che riesce ad essere allo stesso tempo glaciale e sensuale, statica e dinamica, yin e yang, un vero e proprio miracolo della produzione.
Sarebbe stato banale parlare oggi del loro primo album ed enorme successo commerciale, Dummy, per cui scelgo di introdurvi la loro opera seconda, l’album omonimo in cui scendono ancora di più nella loro indole, rischiando moltissimo dal punto di vista commerciale se togliamo il pur fortunato singolo (bellissimo) “All Mine” e abusando ancora di più delle componenti “Lo Fi“, che restituirono il rumore della testina del giradischi anche a coloro che l’avevano abbandonata per il più pulito e perfettino CD.
Buoni ascolti e se dopo aver finito il disco vi resterà una strana sensazione che potremmo definire di “dolce inquietudine” non vi preoccupate, è del tutto normale.
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