Tra tutte le band del vecchio Prog, gli Yes sono stati senz’altro una delle più tecnicamente dotate. Ognuno dei musicisti, soprattutto quelli della formazione più nota, non solo aveva un sound unico, personale, ma anche una capacità strumentale di livello altissimo.
Questo non si è però tradotto in un tecnicismo fine a se stesso, anzi, si è riversato in album non solo ben suonati, ma anche straordinari dal punto di vista creativo. In più, questa unicità dei componenti non ha creato delle “singolarità”, perché il sound della band è altrettanto inimitabile (e inimitato!) nel suo genere, uno di quei gruppi che li riconosci già dopo poche note.
Vuoi per le timbriche, vuoi per le peculiarità ritmiche, vuoi per le complesse armonie vocali, possiamo annoverare gli Yes tra i più grandi del rock di tutti i tempi.
Questo album segna l’inizio del loro percorso evolutivo che li porterà verso armonie e arrangiamenti sempre più complessi, una vera e propria sfida da replicare durante i concerti, anche se loro sembravano farlo senza alcuna fatica.
The Yes Album (1971), Fragile (1971) e Close to the Edge (1972) segnano, uno dopo l’altro, l’ascesa trionfale verso l’Olimpo della Musica, tre opere d’arte che non possono assolutamente mancare sui vostri scaffali.
Sicuramente, tra i tre, questo è il più accessibile e per questo lo consiglio anche come primo passo nella discografica della band, perché offre la loro creatività già ben sviluppata (e non voglio togliere merito ai primi due dischi, ma qui il passo è ben diverso),pur rimanendo in un contesto ancora orecchiabile al primo ascolto anche da chi è completamente a digiuno di Progressive.
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