C’è qualcosa di più americano del concepimento in un Motel? Ovviamente siamo ironici, ma non più di tanto visto che proprio in un Motel erano alloggiati i R.E.M. mentre scrivevano questo loro disco-capolavoro, a due passi dai Criteria Studios di Miami. La ferrea stella che viene ritratta in copertina è proprio una foto scattata ad un particolare del Motel stesso, mentre il titolo è un curioso riferimento a un ristorante in Georgia.
Al di là di queste curiosità, tuttavia, ciò che conta è che parliamo di un long playing che difficilmente può scontentare i gusti di chiunque. Dal primo all’ultimo brano, qualità artistica, poetica e, perché no, audiofila, la fanno da padrone.
Sembra incredibile che una band che ha avuto un successo planetario con un brano come “Losing My Religion“, che rischia di restarti appiccicato addosso con la stessa frustrazione di quegli attori troppo ristretti in un solo ruolo, sia riuscita a tornare in studio in tempi così brevi e a sfornare un disco di questo livello.
Soprattutto contando che già all’epoca, nel 1992, non erano certo una band di primo pelo e dovevano vedersela col crescente successo di un rock americano molto diverso dal loro, il grunge della west coast.
Ma la storia insegna che è inutile fare piani, spesso le direzioni finali prendono tutt’altro verso. Così è stato per questo Automatic for the People, che doveva essere un disco rock, ma che prese contorni acustici che, se escludiamo l’iniziale “Drive”, accarezzano dolcemente più che graffiare (cosa che la band farà invece due anni dopo con Monster e il suo deciso cambio di stile).
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