Matti come dei cavalli. Tremendamente alti con i volumi. Irriverenti. Adrenalitici. Provocatori. Per niente legati ad alcun intellettualismo, solo sudore e decibel.
Questa è l’indole dei fratelli Young, soprattutto negli anni ’70, quando il loro frontman Bon Scott calcava i palchi con alle spalle i muri si amplificatori Marshall collegati alle chitarre di Malcolm e Angus.
E, al timone di tutto, la Gibson SG di quest’ultimo, scelta per adattarsi alle piccole mani di questo minuto chitarrista che però ha dentro l’energia di una bomba atomica.
Powerage non è un disco che si ascolta seduti sul divano. È una scarica di elettricità lungo la spina dorsale dal primo all’ultimo brano davanti cui non si riesce a stare fermi. L’air guitar è sempre dietro l’angolo così come il tipico passo dell’anatra di chuckberriana memoria, idolo assoluto di Angus stesso.
L’album segna un cambiamento. Un nuovo bassista, brani che iniziano ad essere strutturati e arrangiati con maggiore articolazione, pur nella loro semplicità di fondo. E Bon Scott che inizia a sperimentare qualità della sua voce che forse neanche lui stesso pensava di avere. Il tutto si concretizzerà ancor meglio l’anno successivo, con Highway to Hell, la vera consacrazione degli AC/DC a livello mondiale.
Ma per sentire le radici di quel successo, bisogna scavare nella discografia precedente. Ed in questo album troverete la “terra di mezzo” tra l’adolescenza e la maturità musicale del gruppo australiano.
Un album “dove i duri cominciano a giocare“.
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