Forse i non avvezzi alla parola flicorno si potrebbero spaventare, ma potrei anche parlarvi di trombettista riferendomi a Chuck Mangione. Oggi vi cosiglio il disco del suo quartetto jazz, per rilassarvi in poltrona in questi giorni festivi.
Come avrete già indovinato, il cognome Mangione rende chiare le origini italiane di Charles Frank, detto “Chuck”: la madre infatti era originaria della provincia di Caltanissetta, in Sicilia. D’altronde, avevamo già messo in luce che all’esplosione della musica jazz negli USA anche noi italiani avevamo preso parte, incidendo addirittura il primo disco in assoluto.
Ma Chuck non cresce tanto con “jass” di Nick La Rocca, quanto con il bebop che si sviluppa negli anni ’40 e ’50 del novecento, insieme all’hard bop, nel quale non mancavano praticamente mai tromba o flicorno.
E di esperienze ne farà, prima con il fratelo Gap, poi soprattutto con gli Art Blakey Jazz Messengers, che mi vergognerei a definire solamente “band”, perché si tratta di un progetto musicale a dir poco mitologico nel jazz, che ha raccolto musicisti il cui elenco fa venire i brividi.
Sarà che questo disco sta accompagnando insieme ad altri il mio periodo prefestivo, sarà per mettere nella giusta luce (a mio modesto parere) un artista spesso poco nominato se non per i successi che ha avuto in ambito pop-fusion, sarà perché è il disco che mi immagino mentre affondo su un divano alla ricerca di relax dopo una giornata di festeggiamenti, ma ho pensato che questo disco può incontrare i gusti di molti di voi.
Anche di quelli poco inclini al jazz, perché qui non c’è nulla di eccessivamente complicato, ma c’è molto, molto di bello.
(p.s. il nome del sassofonista Niewood è Gerry con la G dolce e non dura come l’ho pronunciata nel video. Ma volevate cavarvela senza una delle mie scivolate di pronuncia? 😀 )
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