Fine anno, il Natale incombe e si pensa ai regali. È anche ora di bilanci. Cosa ci ha portato di bello il 2017 da ascoltare? Quale album è stato capace di aggiungere quella nota positiva alle nostre giornate? L’intera redazione di MusicOff si è interrogata e ha risposto con l’elenco che segue. Quale sarebbe stata la vostra scelta?
Non è mai una cosa troppo facile, ma tutti hanno fatto del loro meglio per scovare l’artista e il disco che pensano rappresenti di più il loro 2017, fra nuove pubblicazioni, riedizioni e classici.
Il panorama è molto largo, fra artisti internazionali e italiani e l’elenco è in rigoroso ordine alfabetico, non c’è tentativo di creare una classifica.
American Epic – The Sessions
Che ci sia ancora un modo per confrontarsi creativamente con una tradizione così ampiamente sfruttata come quella americana è di per sé un gran conforto per chi ne ha amato anche i lati meno inflazionati.
L’altra sensazione piacevole è vedere la collaborazione tra dinosauri illuminati come il grande Robert Redford (produttore) e musicisti sanamente fuori di testa come Jack White.
Il risultato è una panoramica emozionante su un repertorio antico e modernissimo nelle mani di musicisti straordinari, da Taj Mahal a Elton John, da Willie Nelson al rapper Nas, da Stephen Stills ai vigorosi Alabama Shakes. Stefano Tavernese
The Beatles – Sgt.Pepper’s Lonely Hearts Club Band (50th Anniv. Edition)
Ci sono album che puoi acquistare in qualsiasi epoca e pensare di averli acquistati da poco, appena usciti sul mercato. Così lo prendi, lo scarti con delicatezza e lo posi dolcemente sul piatto, e nello spazio di tempo in cui la testina si adagia sul disco ti metti comodo sul divano per ascoltarlo… e arriva quel brusio, quel rumore di gente che prelude al primo brano che è un’overture.
Non fai a tempo a capire che devi chiedere un piccolo aiuto e accorrono in molti… “Lucy”, “Mr Kite” e quella follia che si aggira in tutti brani fermandone il tempo, pensando che non sarebbe arrivato mai a così tanti anni, perché il tempo è relativo .. un giorno è una vita e una vita può passare in un giorno per essere vissuta con la stessa intensità… non ti alzeresti mai da quel divano… Carmine Di Stefano
Brunori Sas – A casa tutto bene
Ho apprezzato ogni singola canzone. Di ognuna, senza esclusione, mi è piaciuto l’aspetto musicale “cantautorale” se vogliamo usare questa parolaccia e i testi che trattano argomenti che ho sentito molto vicini.
In rappresentanza di tutto l’album segnalo questa strofa “secondo me, secondo me, io vedo il mondo solo secondo me, chissà com’è invece il mondo visto da te”. Luca Lanari
Caparezza – Prisoner 709
È un album intenso, ricco di cultura, citazioni e riferimenti che poche volte ho trovato in un artista. Arrangiamenti stupendi, ogni testo ha più di un livello di lettura che richiede più di un ascolto per riuscire a carpirne tutto il significato, passando da tematiche di ogni genere.
Credo proprio che valga la pena ascoltarlo. Luca Lonardi
Chickenfoot – Chickenfoot III
Ho scelto il secondo album dei Chickenfoot (avrei potuto citare anche il primo) perchè nonostante non sia nulla di nuovo, traspare il rock blues made in Usa degli anni ’80-’90 rivisitato ai tempi odierni.
Satriani crea riff molto taglienti, la sezione ritmica minimale di Chad Smith e Michael Anthony mi ricorda un po’ gli AC/DC e i Van Halen, e Sammy Hagar alla voce è straordinario. Se cercate un buon disco di Rock con la R maiuscola questo è perfetto! Alessandro Teruzzi
The Darkness – Pinewood Smile
Ogni anno in questo periodo mi viene chiesto quali sono gli album che mi sono piaciuti di più, perciò mi trovo a ripercorrere tutte le recensioni che ho fatto e i dischi che ho sentito durante l’anno, trovandomi sempre indeciso. Così, da un paio di anni sono arrivato alla conclusione che l’album che mi è piaciuto di più è quello che ho ascoltato di più, indipendentemente da tutto il resto.
Nel caso specifico si tratta della nuova release dei The Darkness, Pinewood Smile: sono sicuramente di parte, vista la mia grande passione per i fratelli Hawking & Co, ma credo che il loro rock scanzonato e suonato alla vecchia maniera sia troppo divertente e che brani come “All The Pretty Girls” e “Solid Gold” non possano non strappare un sorriso e un piede che tiene il tempo.
Oltretutto, le sole “Japanese Prisoner of Love” e “Buccaneers of Hispaniola” sono più che sufficienti per far meritare a Pinewood Smile la mia preferenza. Ampelio Bonaguro
Gov’t Mule – Revolution Come… Revolution Go
Sono molti i dischi che aspettavo quest’anno, dalle uscite di Foo Fighters e QOTSA, allo stupendo album acustico del ’73 di Neil Young (nonché il nuovo appena reso pubblico), ma stavolta ho deciso di segnalarvi quello che mi ha più colto di sorpresa. Non perché mi aspettassi di meno da questa band capitanata dal magnifico Warren Haynes, ma perché quasi mi passava sotto il naso (ho detto quasi…), dopo che per 4 anni non avevamo avuto granché da dire su di loro.
Un disco ben prodotto, ben suonato, con brani che funzionano sotto ogni punto di vista. Scorre all’ascolto liscio come l’olio. Edizione doppia in vinile stra-consigliata se avete in casa un giradischi.
È il disco che vorrei ascoltare davanti a un camino acceso la sera della vigilia di Natale. Altro che Bublé… Salvatore Pagano
Julie’s Haircut – Invocation And Ritual
Per chi ama (in ordine sparso): sguazzare in universi regolati da leggi non scritte, vivere in balia di esplosioni fuori tempo e collezionare disastri annunciati. La psichedelia non è l’unico mezzo per dominare il caos, ma di certo è il più divertente. Parola dei Julie’s Haircut. Andrea Carianni
Linkin Park – One More Light
Il fatto che sia l’ultimo album inciso da Chester Bennington sarebbe già sufficiente a renderlo il mio disco da ricordare per l’anno 2017. Aggiungo che mi ha colpito perché, a dispetto del drastico cambio di sonorità e di orientamento musicale, ho trovato intatto il messaggio portato avanti dalla band negli anni. Peccato davvero che sia l’ultimo episodio. Mattia Mei
Kiko Loureiro – No Gravity
Primo disco solista di colui che verrà poi amato dai più come virtuoso e poi come autore, sancisce un netto cambio di rotta del chitarrista brasiliano che lo va a portare verso le lande avverse della musica fusion, seppur fatta a modo suo.
Ritmi tipici della musica brasiliana come la samba di palo alto presente in “Pau de Arara”, composizioni estemporanee come in “Taping into My Dark Tranquillity” oppure visioni strutturali e melodiche tipiche del progressive metal rendono questo album un pamphlet completo per l’ascoltatore chitarristico che ha tantissimo da imparare sia a livello di gusto che a livello di didattica tecnica e sonora.
Il disco risulta raramente stucchevole o ripetitivo, i temi portanti sono una convergenza incredibile di energia e brio. Antonio Cangiano
Ciro Manna – XY
Il disco è molto elegante, non è la classica fusion pacchiana, sparata… Tanta infuenza bluesy, quel sound che magari trovi in Larry Carlton o Robben Ford. Mi è piaciuto moltissimo che i pezzi siano tutte canzoni: c’è grande cura per la parte melodica e anche per gli arrangiamenti.
E poi la presenza di artisti internazionali come Simon Phillips, ospiti come Paul Gilbert, dà veramente un groove pazzesco, specialmente nei pezzi suonati con Phillips alla batteria. Allo stesso modo Ciro Manna ha creato una fusione veramente di livello con gli artisti italiani che lo accompagnano da tanto e c’è in generale un bell’interplay, una fusione tra stili diversi, culture diverse. Thomas Colasanti
Amanda Palmer & Edward Kas-pel – I Can Spin a Rainbow
Immensa Amanda Palmer che ci fa un ottimo regalo sonico con la sua solita intensità, quella che conosco e apprezzo da decenni dal periodo delle mitiche Dresden Dolls per passare a una serie di chicche minimaliste come la cover di “No Surprises”.
Immensa anche nello scegliersi un partner/alter-ego di grande qualità quale Edward Ka-Spel con il quale si confronta e costruisce atmosfere di apici inaspettati (sia musicalmente che sonicamente) in questo periodo di grande omologazione e appiattimento.
Da ascoltare assolutamente, riascoltare per apprezzare meglio fino a consumare il plasticoso supporto… ah, è disponibile anche in vinile! Francesco Passarelli
Phoenix – Ti amo
Ci sono dei francesi che cantano in inglese un disco sull’Italia. Sembra l’inizio di una barzelletta, invece è Ti Amo, l’ultimo album dei Phoenix. Tra i lavori più significativi dell’anno? Proprio no, ma sicuramente uno dei dei più divertenti.
Il quartetto di Versailles gioca con i gli stereotipi sulla bella vita italiana e con l’immagine di felliniana memoria che all’estero hanno ancora della nostra penisola (avete presente il successo de La Grande Bellezza?).
Ottimo sinth/indie pop e una tracklist che parla da sola: “Fior di Latte”, “Tuttifrutti”, “Telefono” e “Via Veneto” sono solo alcuni antipasti dei tentativi di spiccicare qualche parola in italiano. Staccate il cervello, sentitevi turisti musicali e cantate: “Non posso vivere… Troppo bisogno di te!”. Silvio Ghidini
Christian Scott aTunde Adjuah – Ruler Rebel
“Play…play…play”: Ruler Rebel di Christian Scott aTunde Adjuah consuma i polpastrelli in loop ossessivi come qualsiasi album di Miles Davis. La cifra stilistica di questo trombettista di New Orleans è un impasto di pulsante e notturno jazz urbano in note dilatate e sospese su ipnotici beat elettronici da fumoso lounge bar. Album ad alta densità (pro)creativa da consumare con un bicchiere colmo e un paesaggio in movimento. Mirko Testa
Tedeschi/Trucks Band – Live from the Fox, Oakland
Mi sono innamorato della chitarra slide di Derek Trucks in “Midnight in Harlem”, lo trovo sempre estremamente comunicativo.
È stata una piacevole sorpresa poterlo ascoltare anche senza slide in questo live. Fabrizio Ranieri
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