Si dice che la genesi di un supergruppo dia origine a molte aspettative, in taluni casi addirittura spaventi, ma quasi sempre la prima ipotesi è quella più veritiera; la galassia musicale hard’ n’ heavy è costellata di side-projects, superband, collaborazioni tra i più disparati artisti ed esponenti di sottogeneri a volte anche agli antipodi tra loro, spesso si perde il conto di queste realtà, che vedono la luce solo per il tempo di un album o di un tour.In altri casi i più fortunati riescono a fare di collaborazioni estemporanee progetti solidi e duraturi. Questi Art Of Anarchy si collocano nel solco dei progetti precari sin da subito, o meglio, sin da quando l’istrionico e controverso frontman Scott Weiland ha dichiarato, alla fine delle registrazioni del presente debutto, che non proseguirà la sua avventura in tour con i suoi nuovi colleghi. Una notizia da prendere forse con le pinze, conoscendo le passate diatribe e vicende del cantante con le sue ex band. Perché Weiland non è nuovo a diverbi e rotture celebri, si veda il caso Stone Temple Pilots o Velvet Revolver.Perciò le aspettative erano molte intorno al nome di questa nuova band e in molti speravano di vedere il proprio beniamino alle prese con un gruppo composto di fuori classe che potessero in qualche modo dare un seguito musicale a quanto di buono Weiland aveva mostrato nel recente passato. Insomma, gli orfani dei Velvet Revolver o degli STP speravano in una nuova incarnazione hard-rock/grunge. E non è certamente un caso se questo nuovo quintetto sia stato sin dalla prima ora acclamato da fans e stampa di settore. A ben pensarci era da Contraband che non si ascoltava qualcosa di nuovo e di interessante nell’hard-rock moderno, ed era da tale disco che Weiland non tornava a cantare ad alti livelli. La sua voce ed il suo carisma poliedrico caratterizzano in modo interessante questo omonimo Art Of Anarchy.Tra i migliori brani vi sono la durissima opener “Small Batch Whisky” contraddistinta da un refrain accattivante e da riff di quadrati e granitici, a seguire la più statica “Time Everytime” ipnotizza con il suo incedere marziale ad opera di una sezione ritmica che non fa prigionieri. Da segnalare a questo punto l’ottimo lavoro ritmico e solista delle chitarre, che macinano riff iper-vitaminizzati così come virtuosismi efficaci e mai prolissi.Se “Get On Down” è la solita power ballad prevedibile e dalle melodie un po’ banali, con “Grand Applause” si risale subito la china. Ancora una volta ritmo incalzante, groove e chitarre pesanti caratterizzano un brano in cui la melodia e le linee vocali di Weiland la fanno da padrone. Forse il falsetto sul riff è un po’ azzardato per le capacità vocali del cantante, ma tutto sommato conferisce un effetto claustrofobico verso la chiusura della canzone. “Til The Dust Is Gone” è il primo singolo estratto dal disco e da cui è stato girato un videoclip.Si tratta di una ballad dalle melodie malinconiche in stile Stone Temple Pilots, dove una chitarra classica si interpone ad una distorta, seguendo la struttura da power ballad, con strofe riflessive e refrein carichi di pathos.Indubbiamente uno dei migliori momenti del disco. Con “Death Of It” siamo nuovamente alle prese con una simil power ballad, indubbiamente piacevole anche se non particolarmente esaltante. Con la dura “Superstar” gli Art Of Anarchy cercano di riportare alto il tasso di adrenalina, anche se la quasi totale assenza di aperture melodiche questa volta non convince appieno. Forse è da considerare come punto più basso e stancante di tutto il disco. “Aqualung” si stampa subito nella mente dell’ascoltatore grazie a linee vocali accattivanti che sembrano ormai un trademark vincente di questo omonimo disco.Ritmo frenetico e sezione ritmica potentissima caratterizzano questo brano hard rock moderno dall’impostazione quasi radio-frendly, ma tuttavia non scontato. Chiudono il disco la ballad “Long Ago” e la potente “The Drift“, due brani che si collegano su strade stilisticamente opposte. Infatti, se la prima è decisamente la composizione più pop oriented, la seconda sembra richiamare alla memoria gli Alice In Chains del lontano 1995 con il suo riff che strizza un po’ l’occhio ad “Again“, salvo poi aprirsi in un ritornello particolarmente ispirato ed ammaliante. In definitiva questo Art Of Anarchy può essere considerato un lavoro organico, in cui la band trova da subito il suo stile ed il suo sound. Ovviamente da questi musicisti navigati ed esperti non ci si poteva di certo aspettare un disco senz’anima o senza personalità.Personalità che è già ben definita e che viene catturata dall’ascoltatore sin dal primo ascolto. Un’ottima prima prova che si caratterizza da composizioni validissime e gradevoli, da brani incredibilmente potenti e da melodie vincenti e mai troppo banali. Insomma, le basi per un radioso futuro sono state gettate, adesso spetterà a Ron Thal e soci continuare a costruirci sopra. Spetterà anche e soprattutto a Weiland decidere cosa fare di questo progetto, data la ritrovata vena compositiva ed interpretativa tanto agognata. Sarebbe un vero peccato lasciar passare anche questo treno. Specialmente se viaggiasse sempre ad una certa velocità. Marcello Mannarella Genere: hard rock, alternative metal, post grunge Line-up:
Scott Weiland – voce
Ron Thal – chitarra
Jon Votta – chitarra
Vince Votta – batteria
John Moyer – bassoTracklist:
1. Black Rain
2. Small Batch Whiskey
3. Time Everytime
4. Get On Down
5. Grand Applause
6. Til’The Dust Is Gone
7. Death Of It
8. Superstar
9. Aqualung
10. Long Ago
11. The Drift
Art Of Anarchy – Art Of Anarchy
Si dice che la genesi di un supergruppo dia origine a molte aspettative, in taluni casi addirittura spaventi, ma quasi sempre la prima ipotesi è quella più veritiera; la galassia musicale hard' n' heavy è costellata di side-projects, superband, collaborazioni tra i più disparati artisti ed esponenti di sottogeneri
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