Ci sono rari casi, rarissimi, in cui, oltre alla costante emicrania, l’insonnia ed il troppo lavoro a tenere svegli riservano rivelazioni e scoperte, di recente, al lavoro da troppe ore davanti ad uno schermo luminoso e pieno zeppo di lettere confuse, mi sono ritrovato ad essere salvato dal lampeggiare di una notifica; difficilmente l’arrivo di una e-mail a tarda notte porta con sé ottime notizie, ma ci sono occasioni (rarissime per l’appunto) in cui anche questo può succedere. Aprendo titubante l’allegato della e-mail in questione, proveniente da un noto ufficio stampa statunitense, ho deciso di concedermi l’ennesima pausa caffè per poter dare un primo ascolto all’album contenuto al suo interno. Better Than Home, ultima produzione discografica di Beth Hart, è quindi divenuto la colonna sonora di quella nottata, e da allora è assorto ad ascolto quotidiano necessario. Negli ultimi tempi ho ascoltato diversi ottimi album, e questo lo scrivo fieramente a dispetto di chi lamenta costantemente la mancanza di buon materiale musicale di produzione odierna. Il 2015 si è aperto all’insegna di una scaletta di pubblicazione davvero di altissimo livello, sia per i grandi interpreti pronti a far sentire la propria voce, sia per i tanti esordienti ai blocchi di partenza. Malgrado il materiale di razza reperito finora, non ero ancora riuscito a trovare un disco che riportasse a galla quell’ansia da separazione provata al termine delle recensioni più coinvolgenti. Quando “Might As Well Smile“, traccia d’apertura, si è presentata in cuffia con la cellula motivica discendente-ascendente che ne lega l’intero svolgimento, non ho colto immediatamente l’entità di ciò che sarebbe sopraggiunto di lì a poco. Il brano è, in quanto a sviluppo armonico, qualcosa di già ben esplorato in passato dalla Hart, così come da molti altri interpreti, e lo stesso si potrebbe affermare, senza far alcun torto alla sua autrice, per altri brani contenuti nell’album. A fronte di un’introduzione come quella che ha aperto questo articolo, sarà quindi lecito chiedersi dove rintracciare le motivazioni di tanto esplicito elogio. La domanda trova ovvia risposta nel momento in cui si decide di prestare attenzione al contenuto testuale dell’album, vero punto di forza di questa produzione ed impeccabile biglietto da visita per un’artista come la Hart, ai più conosciuta per le doti canore e spesso sottovalutata per le qualità in sede di songwriting. Better Than Home, pertanto, è da approcciarsi in maniera molto diversa rispetto alle più recenti produzioni dell’artista statunitense, soprattutto da parte di coloro che sono rimasti, a buona ragione, colpiti dall’accoppiata con Joe Bonamassa in Don’t Explain (2011) e Seesaw (2013). In questa nuova avventura discografica Beth Hart ha steso undici tracce di grande pathos e profondità introspettiva, dimenticando un po’ i ritmi più concitati della vena soul-blues, per dare invece spazio alle sfere più travagliate della sua narrativa-emozionale. Better Than Home è un album che preferisce lo scavo emotivo all’arrembante showcase ritmico delle sopracitate uscite “bonamassiane”, è un disco che rivela una maturità artistica propria di pochissimi interpreti della scena blues odierna, unita ad una spiccata saggezza nel lavorare con materiale contenutistico spesso non attinente agli stilemi del genere. Per apprezzare a fondo Better Than Home servirà concedere un ascolto attento ai testi che lo compongono, perché sono le vere fondamenta di un album che si sorregge su cicatrici rimarginate, ma sempre pronte a ricordare trascorsi mai realmente archiviati. La Hart scava in passioni personali (non solo sentimentali), nelle difficoltà di tutti i giorni, negli stenti di uomini e donne, nelle amarezze e nelle gioie di un mondo fatto di pedine che spesso necessitano di una spinta dall’alto per proseguire nel cammino.Ascoltando dischi come questo ci si riscopre protagonisti inattesi delle parole di qualcuno che ha deciso di mettersi a nudo in maniera onesta e decisa. Bcome “Mechanical Heart“, “Might As Well Smile“, “Tell’Em To Hold On” o “St. Teresa“, sono il motivo per cui spesso ci si invaghisce di una giornata che altrimenti sarebbe suonata cupa e abitudinaria. E quando poi, a metà della scaletta, un brano come “Trouble” torna a far ruggire il lato più graffiante di Beth Hart, si riconosce immediatamente la superiorità di un disco come quello che si ha fra le mani.Fra pop di alto rango, soul e blues intrisi di sentimento e dalle vene più che mai pronte a ribollire per gridare al mondo la propria storia, Better Than Home è semplicemente un disco sublime, composto di brani che saranno capaci di reggere splendidamente anche con soli piano e voce, perché guidati da storie di tutti e per tutti, interpretate con amore profondo per la vita e sorrette da un comparto sonoro di estrema raffinatezza. Beth Hart e Better Than Home sono fra i motivi per cui risulta facile innamorarsi della musica. Francesco Sicheri
Beth Hart – Better Than Home
Ci sono rari casi, rarissimi, in cui, oltre alla costante emicrania, l'insonnia ed il troppo lavoro a tenere svegli riservano rivelazioni e scoperte, di recente, al lavoro da troppe ore davanti ad uno schermo luminoso e pieno zeppo di lettere confuse, mi sono ritrovato ad essere salvato dal lampeggiare di una notifica;
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