Oggi il nome Brian May viene associato dai più o ai Queen, di cui questo chitarrista è stato il pilastro portante insieme a Freddie Mercury (senza nulla togliere a Taylor e Deacon), oppure al nulla più assoluto! La verità è che il signor May è un artista molto lontano dall’idea che si potrebbe avere del tipico chitarrista rock. Schivo e riservato, eppur sempre gentile e disponibile verso il prossimo, egli per un quarto di secolo si è dedicato anima e corpo ai Queen, firmando gran parte di quelli che sarebbero diventati poi dei classici del loro repertorio. Ma, proprio a causa di questa sua fedeltà alla Regina, l’artista londinese è dovuto arrivare spesso a dei compromessi per quanto riguarda la sua musica, motivo per cui il May che troviamo in questo nuovo album solista apparirà a tratti parecchio diverso da quello a cui siamo stati abituati per anni. Another World, infatti, ancor più del precedente Back To The Light, rivela un Brian May deciso in tutto e per tutto a suonare la “propria” musica e ciò potrà anche fare storcere il naso a qualcuno. Quello che è certo, però, è che in questo disco troviamo un artista maturo, conscio dei propri mezzi e delle proprie capacità strumentali e… vocali. Dopo svariati concerti, parecchio allenamento e altrettanti sacrifici, infatti, May riesce ora a dare molto anche con la voce oltre che con la sua fida Red Special, anche se naturalmente egli stesso è il primo a rendersi conto che un eventuale paragone con Mercury sarebbe impietoso! Another World si apre con la breve ma intensa Space, che ha il compito di introdurre tutto il disco e soprattutto la poderosa Business, in cui è facilmente distinguibile l’impronta del compianto Cozy Powell, il quale con la batteria si occupa di dare la giusta “spinta” qui come in buona parte dell’album. Degno di nota appare anche il terzo brano, China Belle, un trascinante pezzo rock “alla May”; uno di quei brani in cui pare quasi che il vero cantante sia lo strumento e non il musicista. Dopo questo inizio era doveroso allentare un po’il ritmo, ed ecco allora che ci viene proposta la struggente Why Don’t We Try Again, che insieme a Wilderness ed Another World, mostra il lato “soft” dell’artista. Ma naturalmente May non ha certo dimenticato la sua vera natura e le sue influenze musicali, così l’album mantiene un ritmo sostenuto grazie a brani come On My Way Up o Cyborg, particolare pezzo metal composto per un noto gioco per computer, e soprattutto The Guv’nor, di tutti forse il pezzo di più chiaro stampo Queen. Interessanti sono poi le varie cover presenti: Slow Down di Larry Williams, One Rainy Wish di Hendrix (presente anche nell’album tributo In From The Storm) e All The Way From Memphis dei Mott The Hoople. Concludendo, bisogna ammettere che Another World non è un disco per tutti, persino molti fan dei Queen rimarranno in parte disorientati o addirittura delusi nell’ascoltarlo, ma è certo che May, con questa sua ennesima fatica, ha dimostrato di essere ancora un ottimo artista, capace di fare buona musica anche a scapito del successo economico finale. Se non altro chi ha bollato come “commerciale” la musica dei Queen anni ’80 e ’90 non avrà molto da ridire in questa occasione.
Casa discografica: EMI / Parlophone
Anno: 1998
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