Sarà che più si va avanti con l’età e più è inevitabile che ci si fermi a pensare a certe cose. Sarà che quando analizzi il mondo e la società che abbiamo ereditato dai nostri genitori e dai nostri nonni perdi completamente la voglia di mettere al mondo dei figli e passare loro il testimone (“in fondo va tutto bene, mi basta solo non fare figli… e invece no“). Sarà che arriva un momento in cui si ha semplicemente voglia di smettere di ironizzare sulle brutture della vita, e ci si sente pronti ad affrontarle faccia a faccia. Sarà che ad un certo punto, inevitabilmente, si cresce.
Sarebbe banale e riduttivo definire A casa tutto bene l’album della maturità di Dario Brunori, ma certamente la parola d’ordine è cambiamento. Cambia la musica, cambia il sound, cambiano i luoghi e cambia il modo di raccontare. E se esistono ancora i cantastorie, uno di questi è certamente Brunori Sas.
A tre anni di distanza da quel Vol.3 – Il cammino di Santiago in taxi, che aveva conquistato il pubblico per testi e musica, l’autore calabrese, che passa metà anno in tour e l’altra metà a San Fili, un paese di 3000 anime in provincia di Cosenza, torna con un disco che parla della voglia di rinchiudersi nel calduccio delle mura di casa, nella comfort zone, al riparo da tutto, ma allo stesso tempo dell’esigenza di vivere una vita vera e piena, e quindi di uscire fuori. In fondo, “nel desiderio di tornare a casa c’è anche il fatto di essere uscito“.
Le canzoni d’amore e l’ironia del racconto lasciano il posto ad una radiografia delle fratture del nostro tempo, ad un’analisi spesso pessimistica, ma fin troppo realistica, della disillusione, dell’incoerenza e della paura dell’essere umano, soprattutto dei giovani della generazione di mezzo, quelli che hanno dovuto imparare a declinare in chiave moderna i valori antichi con cui sono cresciuti, i giovani che si sentono parte di un meccanismo mal funzionante, e tuttavia troppo spesso “tendono a non occuparsi concretamente di ciò che accade fuori dal proprio cortile“, come dice Brunori.
Ma la speranza, si sa, è sempre l’ultima a morire, e il malumore che molte volte trapela in prima battuta, cela invece la fiducia nel cambiamento: “Non sarò mai abbastanza cinico da smettere di credere che il mondo possa essere migliore di com’è“.
E a guardare il mondo da dietro una finestra è Brunori in primis, perché nessuno sfugge alla naturale tendenza di mettersi al riparo dall’ignoto, o, ancora peggio, al riparo da ciò che si teme proprio perché si conosce. “Una vita poco vissuta, più che altro una vita pensata“, ed è forse per questo che Brunori ha deciso di aprire la porta, uscire di casa, e provare a raccontare il mondo esterno, dando voce a quello che, in fin dei conti, è un coro universale.
Si parte dunque con “La verità”, il primo singolo estratto da A casa tutto bene, un brano nel quale la paura di cui si parla è quella per antonomasia, la paura della fine; si prosegue con “L’uomo nero”, il pezzo più politico del disco, e poi “Canzone contro la paura”, e si torna sempre lì: “una canzone può davvero cambiare il mondo?“.
“Lamezia Milano” è il percorso lungo il quale metaforicamente si muove il disco, il racconto dello spaesamento di chi è abituato ai ritmi lenti e alle distanze ridotte del piccolo paese, ma è al contempo affascinato dal “futurismo” della metropoli, e poi è anche il racconto di chi evita la paura e nasconde la testa sotto la sabbia (“con il terrore di una guerra santa, e l’occidente chiuso in una banca, io me ne vado in settimana bianca“).
“Colpo di pistola” affronta uno dei temi diventati ormai immancabili nei palinsesti dei telegiornali e nelle scalette dei quotidiani, l’omicidio passionale, e “Vita Liquida” è ancora una volta il quadro dell’uomo diviso a metà tra antico e moderno. “Diego e io” fa un po’ da spartiacque tra la prima e la seconda parte del disco, una toccante ballata pianoforte e archi scritta a quattro mani con Antonio Dimartino, in cui si dà voce alle parole d’amore che Frida Kahlo indirizza al suo Diego Rivera.
Da qui alla fine il punto focale torna ad essere lo stesso, analizzato sotto diversi punti luce, e dunque in “Sabato bestiale” ad uscire fuori è l’ammonimento di un uomo verso se stesso, in “Don Abbondio” Brunori si assume le proprie responsabilità e ammette che “Don Abbondio sono io affacciato alla finestra, a guardare le macerie a contare quel che resta“.
La continua lotta tra la disillusione e la necessità di affrontare la vita con ironia senza smettere di credere nel cambiamento è protagonista in “Il costume da torero” e “Secondo me”, e, per chiudere in bellezza, c’è “La vita pensata”, l’ultimo dialogo del disco, l’ultimo botta e risposta fra due voci che hanno continuato a rincorrersi in tutti i 12 brani, dove ancora una volta si esprime “il desiderio di uscire di casa e la necessità di farvi ritorno“.
Questo è il nuovo Brunori e questo è A casa tutto bene. Probabilmente a fine ascolto si rischia di uscirne più confusi di prima, o magari più spaventati, più consapevoli, o più speranzosi. Brunori non allega istruzioni per l’uso, l’interpretazione è libera.
Di una cosa, però, ci aveva avvertiti: “è un disco con poche risposte e tante domande“.
Ora sta a voi.
Tracklist
1. La verità
2. L’uomo nero
3. Canzone contro la paura
4. Lamezia Milano
5. Colpo di pistola
6. La vita liquida
7. Diego e io
8. Sabato bestiale
9. Don Abbondio
10. Il costume da torero
11. Secondo me
12. La vita pensata
Jessica Testa
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Cover photo by Brunori Sas
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