Con il nome “Jane Doe”, negli Stati Uniti, vengono chiamate le donne di cui non si conosce il nome o devono mantenere l’anonimato. Con il nome “Jane Doe”, negli Stati Uniti, esce il quarto album dei Converge: uno dei lavori meno anonimi degli ultimi due decenni.
I Converge costituiscono un’entità che sin dal 1990 vaga nelle lande desolate della musica estrema a modo tutto suo, sfuggendo egregiamente alla schiavitù dei cliché e creando una nuova scuola di cui “Jane Doe” è il manifesto.
Sicuramente pochi di voi conoscono questo disco e se la recensione dovesse incuriosirvi tanto da ascoltarlo mi sento in dovere di avvertirvi che quello che vi aspetta è qualcosa che non avete mai sentito e che al 99%… non vi piacerà!
Oggettivamente si tratta di un opera d’arte. Soggettivamente se pensate di poter gradire un’alchimia di suoni caotici, connubio di Thrash e Grindcore in tempi a dir poco inusuali, con qualche pausa d’influenza Post-Metal e una voce che si traduce nei versi incomprensibili dei testi molto curati ed espressivi, potreste scoprirvi in quell’1% di popolazione mondiale che trova nei Converge la più completa e piacevole catarsi.L’album ci offre un ritratto surrealista del dolore di “Jane Doe”, una donna qualsiasi che si dispera davanti le macerie di una relazione: dolore psichico più che fisico, che si manifesta in un vortice opprimente di convulsioni, allucinazioni e sentimenti. Il vortice inizia da “Concubine”, un minuto e poco più di Grindcore confuso e contaminato che carica con il susseguirsi di ritmi serrati ed aperture e si lega perfettamente a “Fault and Fracture”: nel secondo brano i Converge confermano una varietà di idee e influenze che caratterizza tutto l’album e che garantisce l’attenzione dell’ascoltatore, che viene coinvolto nella “rissa” e colpito senza pietà da tutto ciò che esce dalle cuffie/casse.”Distance and Meaning” manifesta una schizofrenica disperazione mentre “Hell to Pay” rallenta sorprendentemente il ritmo in un atmosfera rarefatta e surreale. Una pausa salutare e necessaria prima di riprendere il percorso catartico con “Homewrecker” che è una delle canzoni più riuscite in questo senso. Il cantante, Jacob Bannon, dal vivo è solito presentarla come “dedicata alla persona peggiore che ho mai incontrato in tutta la mia vita” e difatti attraverso la sua linearità strumentale, che fa da tappeto alla voce, riesce ad esprimere la rabbia nella sua essenza.”The Broken Vow” è una gran traccia in cui risalta molto l’espressività con il dialogo tra il coro e Bannon che sfocia nell’invettiva finale e la struttura strumentale varia e imponente: è il momento buono per presentare Ben Koller alla batteria, che durante tutto l’album non annoia mai, cercando sempre la soluzione meno scontata, e Balou e Dalbek alle chitarre, che creano con maestria riff d’impatto e melodie.”Bitter and Then Some” è un fulmine con andamento molto Thrash, mentre “Heaven in Her Arms” ha una trama melodica che colpisce profondamente l’inconscio nella sua disperazione. “Phoenix in Flight” riprende l’atmosfera rarefatta e surreale di “Hell To Pay”, appesantendola in un lento crescendo epico; una fenice che vola appunto, mentre “Phoenix in Flames” è una sfuriata grezza, quasi anti-musicale ma perfetta nel contesto.”Thaw” riparte con una sfuriata Noise-Math, che diventa sempre più pesante fino al finale epico che anticipa l’apice dell’album: “Jane Doe”, la traccia finale, è un monumento da più di 11 minuti, un inno pesante ma al contempo melodico, con il coro che dà una pennellata raffinata ad un’atmosfera emozionalmente perfetta.L’album non ha un punto debole, è un susseguirsi di alchimie perfette, di diversi pesi di musica estrema. Nulla è lasciato al caso, anche il caos è creato consapevolmente, e tutto contribuisce a tessere delle trame sorprendenti e varie traccia per traccia. I musicisti fanno ognuno perfettamente il proprio lavoro: la voce di Bannon traduce in violente emozioni i testi, le chitarre creano architetture varie e curate, la batteria di Ben Coller è impressionante per grinta e varietà, e il basso (Nate Newton) fa il suo lavoro sotterraneo fondamentale: il tutto è mixato con una cura che fa convivere lo sporco del suono con la definizione, non facendo sovrastare la voce che rimane equilibrata agli altri strumenti a creare atmosfera.Siamo a 10 anni dall’uscita di questo album, che rimane un’opera d’arte insuperata nel panorama estremo: i Converge hanno creato qualcosa di nuovo e imprevedibile che ha stravolto i canoni tradizionali e ne ha creati dei nuovi. Ci troviamo davanti una pietra miliare della musica, questo disco è uno dei prodotti migliori di questa prima parte di millennio e il gruppo, da “Jane Doe” in poi, uscita dopo uscita si è guadagnato una posizione inamovibile tra gli dèi della musica estrema. Non saranno per tutti e non pretendono di esserlo, ma sono uno dei pochi gruppi che è riuscito a creare qualcosa di completamente nuovo e personale: ascoltare “Jane Doe” per intero è un esperienza unica da cui non si può uscire indifferenti, cercate di trovare il coraggio… ne vale la pena.Tracklist:
1. Concubine
2. Fault and Fracture
3. Distance and Meaning
4. Hell to Pay
5. Homewrecker
6. The Broken Vow
7. Bitter and Then Some
8. Heaven in Her Arms
9. Phoenix in Flight
10. Phoenix in Flames
11. Thaw
12. Jane Doe
Francesco “Forsaken_In_A_Dream” Cicero Converge Website
Anno: 2001
Aggiungi Commento