Il punto di vista del corpo
Nel 1969 Borges scrisse una breve prosa che si conclude con la frase citata nell’incipit di questo nuovo articolo. Morire del tutto ha un sapore diverso dal semplice morire. In questa frase, vi è un pensiero complesso ed articolato, una sorta di visione di se stessi e del mondo che ci circonda. Un punto molto preciso dal quale questo mondo viene guardato: noi come corpo.
Il mio corpo, come quello di molti lettori, ha subito trasformazioni, variazioni ed evoluzioni inaspettate. Tutti sappiamo, prima o poi, che dobbiamo crescere. Da quando siamo bambini e guardiamo con occhi ammirati gli adulti che ci circondano, sperimentiamo il cambiamento. Sappiamo che cresceremo, che la maglietta che tanto ci piaceva indossare l’anno prossimo non potremo più indossarla perché sarà diventata stretta, lo stesso vale per quel paio di scarpe che tanto amiamo e che ci hanno accompagnato in mille avventure. Ne facciamo subito esperienza del cambiamento, della crescita.
Arriviamo ad un certo momento della nostra vita in cui comprendiamo anche che non siamo immortali, che finisce la nostra esistenza sulla terra. Impariamo a conoscere un limite, anzi “Il Limite” che la vita ci pone: la morte. Al di là di tutto, iniziamo a vederlo ed a sperimentarlo quando soffriamo, quando nella nostra vita inizia ad entrare il dolore, che ci mette in contatto con l’estrema possibilità del nostro essere, con la morte.
Tutto ciò passa attraverso il corpo. Esso è testimone silenzioso di molta parte della nostra vita, di tutta la nostra vita. Se sapessimo leggere le pieghe della nostra pelle, come leggiamo le parole contenute nei libri, avremmo sicuramente molta più verità di noi stessi di quanta non ne abbiamo con la sola nostra parte razionale.
Il corpo sa tutto?
Un testo di Banana Yoshimoto porta il titolo Il corpo sa tutto, una raccolta di racconti non troppo fortunata e forse nemmeno tra le migliori dell’autrice nipponica, ma sicuramente dal titolo pieno di fascino. Ho sempre pensato che molta parte della verità dell’uomo sia iscritta nel corpo e che, non conoscendolo a sufficienza, non rendiamo mai veramente autentica la nostra vita.
Esso si tramuta nel tempo, cambia la percezione che di lui abbiamo. Passa dall’essere oggetto mutevole, con rapidi cambiamenti, a volte sconvolgenti, se pensiamo all’adolescenza, ad essere oggetto amato e desiderato, quando iniziamo a sperimentare la nostra sessualità.
Diviene un ostacolo, quando ci confrontiamo con i limiti che esso stesso ci pone. Quante volte ci siamo affaticati per allenarlo, nello sport o nella musica, per raggiungere obbiettivi che ci eravamo prefissati. Quanta frustrazione si è nascosta dietro i nostri fallimenti. Quanta gioia dietro i traguardi conquistati.
Il corpo si è un confine, un contenitore, un involucro protettivo, ma al contempo esplorativo. È un’apertura originaria ed unica nei confronti del mondo. La nostra percezione e conoscenza della vita passa attraverso il dentro ed il fuori del corpo. L’altro è ciò che sta fuori e che lentamente si innesta in noi attraversando la barriera della nostra pelle, iscrivendosi nel nostro corpo come esperienza sensoriale, estetica.
Il corpo è anche trasgressione. Trasgredire come andare oltre il limite. Sempre il corpo trasgredisce noi stessi, quotidianamente. Il corpo nella sua natura deve andare oltre, deve uscire dalla norma, dallo schema. Lo sperimentiamo nella quotidianità del nostro vivere.
Il nostro corpo è anche conoscenza, emozione. Ogni frase che riconduce ad un’esperienza emotivamente forte ha un legame con il corpo. Ogni esperienza emotivamente forte, ha una relazione con il corpo, perché è nel corpo, perché è corpo.
Corpo e Malattia
Ed in questo essere corpo che si insinua la narrazione di Sacks, nell’essere copro della malattia, nell’ essere corpo della musica, che si frappone tra noi ed il mondo. Il testo si muove tra patologie alle volte straordinarie, come quella narrata all’inizio del testo, dove un uomo viene attraversato da una scarica elettrica.
«Il dottor Cicoria capì di essere tornato nel suo corpo perché sentì dolore – il dolore causato dalle bruciature al volto ed al piede sinistro, dove la scarica elettrica era entrata e uscita – e, si rese conto, “ solo un corpo prova dolore”» [Sacks O. 2008].
Da un giorno all’altro inizia a pensare alla musica in modo intenso e mai provato prima. Inizia a suonare il pianoforte, a desiderare di suonarlo sempre di più. Inizia a comporre musica a sentire musica come non l’aveva mai sentita prima. Lo stesso autore dice di non aver mai avuto conoscenza né diretta né indiretta di un paziente simile in tutta la sua carriera. Li chiamerà i “tormentati dalla musica”.
Tra ponti e sinapsi
Altre narrazioni parlano di pazienti che hanno attivazioni emotive attraverso la musica. Solo attraverso la musica entrano nuovamente in contatto con le loro emozioni, come se, dove la sinapsi si è interrotta per un trauma, la musica potesse, in un modo che nemmeno l’autore ancora riesce a spiegare, trovare la strada per creare nuove connessioni o, come immagina la mia fantasia, creare ponti che uniscono.
Sicuramente un ponte unisce, è un legame lanciato tra due sponde di un fiume, una mano che si allunga per toccare l’altro. Un luogo fisico, un elemento concreto, come il nostro corpo, come la musica, tanto vera da aprire varchi in noi, da muovere sinapsi fino a poco prima inesistenti, da attivare pensieri ed emozioni. Da attivare questo nostro compagno, il nostro corpo.
Buona lettura!
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