Subito dopo il successo internazionale, ottenuto con Images and Words nel 1992, i Dream Theater decidono di esasperare quello che nel lavoro precedente era stato definito il loro lato migliore: la tecnica. Effettivamente il disco è piacevolmente ascoltabile, ma solo per coloro i quali avessero già iniziato le orecchie al genere. E’ chiaro, invece, che chi ascoltasse del “progressive metal” per la prima volta attraverso questa produzione, rimarrebbe sicuramente stupefatto ed al tempo stesso tediato, da tanta tecnica tutta in una volta. L’audizione inizia con 6:00, brano nel quale si valorizza molto il nuovissimo sound di Moore, acusticamente molto più modificato. Il brano si apre con un “mini-solo” di batteria, nel quale Portnoy si diverte a spianare la strada ad una tastiera subito dopo seguita da chitarra e basso assolutamente all’unisono. Già dalla prima “song” si ascolta un integerrimo James La Brie che fa uso del suo tono più graffiante per salire di tonalità è evidente che Moore accompagni solamente il resto del gruppo, creando un tappeto di synth.. Sono presenti più di un riff nel quale il tastierista è annullato dalla schiacciante intesa. Il ritornello è carino, anche se troppo breve perché rimanga nella memoria. Innocence Faded, di contrario, si presenta come il brano sicuramente meno prog del CD. Risulta come una traccia commerciale poliritmica. Le parti cantate, includenti per altro un pezzo nel quale la meravigliosa chitarra graffiante di Petrucci è sostituita con una molto più accordistica, sono molto più fredde. C’è da salvare però il finale nel quale il chitarrista torna sui suoi passi regalandoci un ottimo “groove”. Le tracce numero 4, 5 e 6, anche essendo musicalmente collegate ed ascoltabili insieme (sul booklet sono accomunate) pur essendo tra loro assolutamente diversissime. La prima, Erotomania, è sicuramente il pezzo interamente strumentale, che tra i chitarristi vuole rappresentare meglio di tutti la figura di Petrucci. Inizia Moore con uno strumento molto simile ad un organo Hammond. Ma subito dopo si ottiene la spiegazione di tanta fama. Sono presenti infatti tantissimi generi chitarristici: dall’ipertecnico al cadenzato, fino ad arrivare ad un punto nel quale Petrucci ci anticipa il tema di una canzone successiva, più precisamente The Silent Man. Verso la fine del brano il virtuoso chitarrista sembra impazzire con un solo al fulmicotone, la quale unica pecca è quella di durare troppo poco. Il brano si conclude con l’inizio della traccia numero 5, Voices. L’inizio ora è affidato a John Myung che attraverso una ritmica non ben decifrabile, mantiene tutto l’intro fino ad una parte cantata che ha molto di new age e poco di Dream Theater. Subito prima del ritornello, nel quale La Brie si apprezzerà veramente tantissimo, il brano esplode e gli stoppati del chitarrista rendono tutto molto più metal. Dopo essere ritornati in un’atmosfera tipicamente new age, ci s’immette nella traccia numero 6, The Silent Man. Beh, cosa dire? E’ semplicemente il capolavoro acustico della storia dei Dream Theater, cominciando dal testo (uscito dalla mente di Petrucci) fino a finire al sound rivisitato e riproposto. Gli accompagnamenti di Portnoy, solamente percussivi mai batteristici, e il basso acustico di Myung rendono il brano molto armonico. Il tutto è abbellito da un solo chitarristico e dalla background piena di riverbero di La Brie. The Mirror e Lie ci riportano poi, di botto, nell’atmosfera tipica di questo CD. La caratteristica risaltante è sicuramente la capacità di Mike di riuscire a cambiare cadenza sotto gli assillanti stoppati del chitarrista. Nei brani si susseguiranno anche piacevoli intervalli con sottofondi di arpeggi molto ben creati. Una magnifica miscela creata da basso, batteria, chitarra e sinth con sonorità molto ben controllabili, saranno la caratteristica della traccia intitolata Lifting Shadows Off A Dream. Tutto risulta molto cadenzato e facilissimamente ascoltabile. Si aiutano molto il delay che Petrucci usa per mantenere la ritmica e i vari effetti della batteria e della voce. Nel bel mezzo però s’incontrano cambi repentini di tempo e soli fischiati (n.d.a.).Segue Scarred, traccia dalle sonorità tipicamente dreamtheateriane. Frequenti sono i “collages” di canzoni che i cinque assemblano per stupire un po’ l’ascoltatore. Sicuramente piacevole è l’intervallo interamente strumentale presente nel bel mezzo del brano, caratterizzato soprattutto dalle normalissime due registrazioni di chitarra, necessarie per mantenere ritmiche complicate e cimentarsi in soli tecnicamente perfetti. Nell’ultimo brano Kevin Moore sente l’esigenza (manifestata anche in Wait For Sleep) di avere il suo spazio e, per questo, s’ispira apertamente al repertorio classico. Sembra quasi di ascoltare un notturno di Chopin uscire dalle mani di un concertista da conservatorio. Tutto ciò, unito alla voce di La Brie (che letteralmente segue l’andatura del piano) ed ad un sottofondo di voci maschili e femminili, dà una degna conclusione al lavoro. Da notare è sicuramente una bellissima fotografia presente all’interno del booklet raffigurante i cinque musicisti mentre provano. Tutto ciò ci fa sentire i Dream Theater molto più vicini di quanto non lo siano in realtà.
Casa discografica: Atlantic Recording Corporation
Anno: 1994
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