Ed eccola qui la rinascita dei Dream Theater! Dopo il mezzo passo falso (forse solo per i fan più agguerriti) di Falling Into Infinity, i nostri eroi ci regalano il nuovo album di studio ed in più l’ennesimo, ma questa volta si pensa definitivo, cambio di tastierista. Il prescelto è Jordan Rudess, vero e proprio funambolo e virtuoso della tastiera, ex Dregs e soprattutto ben conosciuto da Portnoy e Petrucci dato che aveva collaborato con loro nel progetto collaterale Liquid Tension Experiment. E la differenza è udibile sin fal primo ascolto. E’ Jordan il tastierista perfetto per questa prog-metal band; il suo modo molto orientato verso il progressive di intendere il suono della tastiera nel contesto di un gruppo sembra che abbia spazzato via l’impronta classica a volte pesante di Kevin Moore e l’eccessiva impronta rockettara e “casinista” di Derek Sherinian. Dunque un line-up perfetto per un disco a mio avviso incredibile. Anzittutto due caratteristiche peculiari. Scenes From A Memory è un concept disc, alla pari dei grandi The Wall dei Pink Floyd o Operation: Mindcrime dei Queensrÿche. In più è il prosegumento ideale di Metropolis Part 1: The Miracle And The Sleeper presente sul loro secondo album Images And Words. Il concept, dunque, riguarda essenzialmente il tema della reincarnazione e più in particolare gli incubi ricorrenti di Nicolas che non è altro che la reincarnazione di Victoria Page gentildonna del primo ‘900 che era disputata dai fratelli Adams. L’album si apre con Regression che inizia con un ticchettio che rimbalza da un canale all’altro e da un breve interludio acustico-cantato che poi darà via al vero e proprio album con il massiccio strumentale di Ouverture 1928. La prima parte scorre fluida, tra momenti di grande tensione, grandi virtuosismi e grandi stacchi melodici. Molto presente il piano specialmente in Through My Words e Beyond This Life. Ogni canzone è permeata di grande sentimento e soprattutto Fatal Tragedy si impenna verso un assolo di Petrucci al fulmicotone. La prima parte dell’album dunque si conclude con la bellissima ballata Through Her Eyes completamente acustica e con un assolo minimale ma di grande effetto e molto melodico. La seconda parte dell’album, forse anche più spettacolare della prima, si apre con il pezzo migliore dell’album e Home. Una minisuite di circa 14 minuti in cui si viene rapiti in un crescendo mistico trascinati dal riff arabeggiante della chitarra di Petrucci e da uno degli assoli più belli dell’album. Il momento più prog è senza dubbio The Dance Of Eternity dove l’influenza dei Liquid Tension è molto marcata. L’album si chiude in un crescendo incredibile con la “strana” Finally Free che sembra quasi la colonna sonora di un film dato che sono presenti veri effetti di vita normale del protagonista e anche il colpo di scena finale. Che dire di quest’album? Rispetto ai precedenti si può dire che ha molta meno furia prog rispetto ai primi episodi e sicuramente meno ispirazione rockettara rispetto a Falling Into Infinity. L’album è bello, trascinante, melodico ma mai scontato e con una storia interessante che contribuisce di per se stessa a renderlo imperdibile. La band è come rinata, tutti sono ai massimi livelli, specialmente Petrucci che ci regala assoli incredibili sia per tecnica che per feeling ed anche parti ritmiche molto dinamiche ed incisive. Ascoltatelo ad alto volume in cuffia magari al buio e verrete rapiti dalla potenza di questo album!
Casa discografica: Elektra
Anno: 1999
Aggiungi Commento