L’evoluzione è una costante imprescindibile di tutte le forme di vita, è un processo inevitabile che coinvolge anche il mondo della musica. È quello che è accaduto agli Europe, band di grande spessore nel panorama hard’n’ heavy mondiale, che sul finire degli anni ’80 dominò le classifiche di mezzo mondo grazie a due album come The Final Countdown e Out Of This World. Erano i gloriosi anni ’80, la decade fortunata di tutto il movimento heavy metal e, mentre gli Europe ne interpretavano il volto più melodico, le case discografiche cavalcavano il successo del fenomeno di massa noto come hair metal.Croce e delizia di molti giovani ed adolescenti nell’era della neonata MTV, Joey Tempest e soci hanno seguito, loro malgrado, il trend ed il movimento divenendone icone popolari, seppure scendendo spesso a compromessi con chi dirottava soventemente le decisioni artistiche della band. Non è un mistero che agli stessi Europe, dopo un po’, iniziarono a stare strette le vesti che il managment aveva loro cucito addosso. E l’immagine stessa che la band aveva di sé si era deteriorata, portando prima John Norum all’allontanamento ed in seguito al progressivo declino dell’intero quintetto.Altri tempi, altri Europe. Amati, odiati, celebrati ed osteggiati, quello che rimaneva del sogno di Tempest doveva per ovvie ragioni distaccarsi dagli schemi dell’hair metal, per trovare una nuova forma da far vivere alla luce della reunion del nuovo millennio. Continuare a percorrere un sentiero che non rappresentava più l’anima del gruppo era semplicemente folle, perciò bisognava aprire gli orizzonti sonori ad un sound maturo e moderno. Con il ritorno di Start From The Dark gli Europe sembravano così aver capito quale fosse la direzione da seguire. Una scelta che aveva dato ragione agli svedesi in virtù di un buon successo di critica e di pubblico. Poi invece Bag Of Bones, nono studio-album, ha presentato soluzioni sonore diverse, votate al classico hard rock/blues.La band cercava così nel passato delle proprie radici, la ragione della propria nuova esistenza. Questo War Of Kings, non si discosta molto dal suo predecessore e ne continua il percorso, smorzandone leggermente i toni bluesy e zeppeliniani ed accentuando invece le influenze che band come Rainbow, U.F.O e Deep Purple hanno avuto sul quintetto di Stoccolma. Ma in realtà gli Europe, sin dal seminale Europe del lontano 1983, hanno sempre guardato ai giganti dell’hard rock degli anni Settanta con grande ammirazione, ed è perciò innegabile che il nuovo album abbia ricongiunto Norum e soci a quel tipico sound nato in Inghilterra ben quattro decadi orsono. La traccia omonima, “War Of Kings“, mostra una band che suona compatta e potente. Il riff pachidermico di chitarra di Norum è di chiara impronta sabbathiana, mentre l’ugola di Joey Tempest tiene testa egregiamente alle offese del tempo. Mic Michaeli può fare sfoggio di tutta la sua maestria dietro la tastiera.Ma mentre il primo brano del disco è il più duro ed oscuro del lotto, “Hole In My Pocket” è il più veloce e sfrontato. Un uptempo con riff di chitarra incalzante e melodie ruffiane ma mai scontate. “Days Of Rock’N’Roll” sembra uscita da uno dei migliori album dei Rainbow, con il suo riff barocco che ricorda Blackmore e con l’hammond di un ispiratissimo Michaeli. Ben riuscita è anche “Children Of The Mind“, seppur non originalissima rimane l’anthem del disco, e ricorda vagamente “Seventh Sign” dall’album Prisoners In Paradise. “Light Me Up” è un altro tra i brani più ispirati e “rockettari”, si ricollega su quanto già sentito nel disco precedente. “Vasastan” è lo strumentale che coglie l’ascoltatore di sorpresa.È dal lontano 1983, precisamente con “Boyazont“, che gli Europe non si cimentavano con un brano interamente strumentale in cui dare sfoggio di tutta la propria maestria. Si tratta di una composizione blues, ma che racchiude in tutta la sua epicità un sentimento struggente. Norum omaggia non troppo celatamente il grande Gary Moore, salvo poi sul finale far ricomparire dall’oscurità il riff della traccia iniziale “War Of Kings“. In conclusione, questo decimo album degli Europe, con il suo art work fresco e moderno e la sua produzione nitida e potente, non fa che aggiungere un tassello importante ad una discografia che sembra mai come ora in costante evoluzione musicale. La band di questi fuoriclasse appare in un buonissimo stato di salute, facendo invidia a molti colleghi blasonati, che non hanno saputo portare avanti un percorso musicale altrettanto convincente, ne tantomeno sfruttare l’asso vincente della reunion.Gli Europe, a torto o a ragione, spesso sottovalutati e mai presi in considerazione a dovere al di là dell’Oceano Atlantico (U.S.A), dimostrano di essere dei veri re, scrollandosi di dosso il peso ingombrante di un passato che non li rappresenta più. Si rivolgono ai loro miti e da lì indirizzano la ricerca per l’evoluzione futura, a dimostrazione che l’hard rock moderno può trarre ancora tanto dal passato. Un passato che spesso sa essere ancora vincente, malgrado tutto. Chiamatela pure nostalgia. Marcello MannarellaGenere: hard rockLine Up:
Joey Tempest – voce
John Norum – chitarra
Mic Michaeli – tastiera
John Levén – basso
Ian Haugland – batteriaTracklist:
1. War Of Kings
2. Hole In My Pocket
3. The Second Day
4. Praise You
5. Nothin’ To Ya
6. California 405
7. Days Of Rock ‘n’ Roll
8. Children Of The Mind
9. Rainbow Bridge
10. Angels (With Broken Hearts)
11. Light It Up
12. Vasastan (Instrumental)
Europe – War Of Kings
L'evoluzione è una costante imprescindibile di tutte le forme di vita, è un processo inevitabile che coinvolge anche il mondo della musica. È quello che è accaduto agli Europe, band di grande spessore nel panorama hard'n' heavy mondiale, che sul finire degli anni '80 dominò le classifiche di mezzo mondo grazie a d
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