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Genesis e The Lamb: chi ha scritto cosa?

È credenza diffusa che Gabriel abbia scritto tutti i testi del doppio album, ma va ricordato che in realtà quelli della quarta facciata sono scritti in parte da Rutherford e Banks, perché altrimenti i tempi pattuiti con la Charisma per la consegna del lavoro non sarebbero stati rispettati.

È credenza diffusa che Gabriel abbia scritto tutti i testi del doppio album, ma va ricordato che in realtà quelli della quarta facciata sono scritti in parte da Rutherford e Banks, perché altrimenti i tempi pattuiti con la Charisma per la consegna del lavoro non sarebbero stati rispettati.

All’epoca molti pensavano addirittura che egli avesse scritto tutta la musica, invece questa è opera quasi esclusiva degli altri, dato che Gabriel e il gruppo si erano divisi i compiti all’inizio della lavorazione.  Queste errate attribuzioni ovviamente accentuavano le tensioni interne già presenti tra il cantante e gli altri, che durante la lunga lavorazione di “The Lamb” si erano fatte particolarmente sentire.

Un ruolo nei contrasti lo ebbe anche la volontà di Gabriel di creare una rappresentazione molto complessa on stage, al punto di condizionare anche la stessa realizzazione dell’album. Infatti la band, nella fattispecie Collins, ha testimoniato in interviste successive che dopo le composizioni collettive, mentre gli altri quattro avevano in pratica finito di incidere le basi musicali in due settimane, un mese dopo stavano ancora aspettando i testi. Gabriel, sollecitato, cominciò a dire che aveva bisogno di altre musiche sia per utilizzare testi privi di “appoggio”, sia per avere altri collegamenti tra le canzoni.

Questo, anche se non viene detto esplicitamente, al fine chiaramente intuibile di cambiarsi costume o compiere altri spostamenti in scena. Ciò non fu per niente gradito dagli altri, che già lo contestavano per il modo “egoistico” di lavorare.

Genesis e The Lamb: chi ha scritto cosa?

Photo by Nick ContadorCC BY-SA 4.0

È estremamente importante, dunque, affrontare quest’aspetto, perché si può affermare che alcune parti del doppio album sono frutto della prospettiva della sua integrale rappresentazione sul palco. È probabilmente il caso di certi passaggi strumentali che suonano molto come materiale di connessione, i famosi “riempitivi” di cui si diceva, vedi la strumentale “Silent Sorrow In Empty Boats”, che si trova tra “The Lamia”, in cui sul palco Gabriel indossava un incredibile “costume” costituito da un cono semitrasparente e dipinto, alto oltre due metri dentro il quale cantava, e “The Colony Of Slippermen”, in cui indossava una ingombrante veste da mostro bitorzoluto rimasta celebre.

Tutto questo, però, non ha portato solo riempitivi, infatti, come afferma Banks, la magnifica “The Carpet Crawlers” è una canzone composta e aggiunta in una seconda fase su richiesta di Gabriel, basandola tra l’altro su un suo tema melodico.

L’album vendette abbastanza bene per essere un doppio, anche se considerevolmente meno dei due dischi immediatamente precedenti, arrivando al n. 10 in Uk e 41 negli Usa (comunque la più alta posizione raggiunta negli States fino ad allora).

In ogni caso l’esplosione vera ci fu per il successo che ebbero le rappresentazioni live di cui si diffusero descrizioni con toni quasi da leggenda.
Tutto il palco veniva completamente dipinto di nero, in qualunque teatro o arena fossero, per consentire la totale oscurità durante le fasi in cui il cantante si spostava sul palco per riapparire nei posti più impensati e per lo stesso motivo il gruppo pretendeva che tutte le luci fossero spente, comprese quelle pubblicitarie e delle uscite di sicurezza; su tre schermi posti dietro al gruppo, in sincrono con le musiche, tramite sette proiettori venivano proiettate 1.450 diapositive contenute in 18 cassette; a un certo punto veniva utilizzato un manichino-clone di Gabriel (il cui volto era una maschera di plastica fatta al cantante col sistema del calco dal vivo) cosicché due Peter Gabriel apparivano ai due lati opposti del palco e vi erano ovviamente i suoi famosi costumi, sebbene in realtà non ne indossasse fino a “The Lamia“, e in precedenza, cioè due terzi dello show, fosse semplicemente travestito e truccato da Rael.

I contrasti interni raggiunsero così il culmine proprio col colossale tour in cui il doppio album fu interamente rappresentato per 102 serate in Nord America ed Europa, e durante il quale Gabriel decise di abbandonare il gruppo.

Gabriel era ormai una stella di prima grandezza, il faro a cui tutto il pubblico e gran parte dei fan e della stampa guardavano, e gli altri finirono per restare in ombra nonostante fossero gli autori del 95 per cento della musica, e ciò si sommava alle frustrazioni della registrazione.
Gabriel aveva anche problemi familiari, stava per avere il primo figlio e aveva soprattutto desiderio di stare vicino alla famiglia piuttosto che in tour permanente come il futuro nella band, divenuta ormai un mostro del rock, gli prospettava.

Gli altri pativano la frustrazione di essere spesso considerati “il gruppo di Peter Gabriel” e la comunicativa tra i membri della band era ai minimi storici. L’abbandono del cantante fu la pressoché inevitabile conseguenza.

Concept album e rappresentazioni nella storia rock

Probabilmente con la pubblicazione di questo disco, la sua rappresentazione dal vivo e la definitiva dipartita di Gabriel dai Genesis nel ’75 proprio nel momento del loro massimo successo fino ad allora, abbiamo un punto di rottura nella storia del rock, l’ultimo atto della fase più fulgida del progressive e dunque la fine di un’epoca.
Il punk stava già battendo i primi colpi che di lì a poco avrebbero spazzato via convenzioni consolidate e Gabriel, che ha sempre avuto una particolare sensibilità per il nuovo, aveva intuito che qualcosa si era rotto e niente sarebbe più stato come prima.

Salvo i Pink Floyd di “The Wall” che chiuderanno il cerchio, pur con modalità comunque diverse, nessuno riuscirà più a esprimersi con una complessità live del genere, come nessuno vi era riuscito fino a quel momento. Per limitarsi a nomi conosciuti, se Emerson, Lake & Palmer o Yes avevano dato vita a musiche complicate e tournée faraoniche, non avevano tuttavia l’ambizione di inscenare una vera e propria rappresentazione narrativa.
Andando anche al di là del progressive, per esempio i Pink Floyd avevano dato vita con “The Dark Side Of The Moon” a un grande concept album, tuttavia non lo avevano basato su una trama, bensì appunto solo su un “concetto” di fondo.

Altri che pure una trama l’avevano concepita come David Bowie, comunque quello che ci era andato più vicino con il personaggio di Ziggy Stardust, anche se era maggiormente ispirato al cabaret, non avevano tuttavia la macchina visuale di Gabriel e dei suoi costumi per dar vita a una forma di autentico teatro rock. Oppure gli Who con “Tommy” erano ricorsi al cinema per rappresentare visivamente la storia, pur essendo probabilmente autori del migliore lavoro del genere.
Insomma, solo i Genesis nel 1974 avevano tutti gli strumenti necessari per un’operazione di quel tipo, che è rimasta unica nella storia del rock e dei concerti dal vivo, e per mettere in scena quella che molti anni prima che il termine divenisse di uso comune il gruppo stesso definì una rappresentazione “multimediale”, fatta di musica rock, teatro, poesia e immagini. (Da citare lo “W.O.M.A.D.”)

Purtroppo di quel tour di The Lamb Lies Down On Broadway non esiste alcuna ripresa ufficiale, ma grazie a youtube possiamo ammirare stupefatti il lavoro della band.

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