All’inizio del XX secolo, negli Stati Uniti ma non solo, l’incontro tra compositori della musica orchestrale e i primi musicisti jazz ha generato un’influenza – a volte reciproca, a volte no – che ha ridefinito il panorama musicale per sempre.
Il Jazz si è subito mostrato legato a compositori come Claude Debussy, Igor Stravinsky e Maurice Ravel, alcuni dei quali non persero tempo a riconoscere il potenziale del jazz come espressione artistica.
La loro curiosità per le nuove sonorità che provenivano dall’America li spinse addirittura a integrare elementi del jazz nelle loro composizioni, generando una sorta di contaminazione culturale che stimolò la creatività di entrambe le tradizioni.
In particolare, il pilastro di Broadway George Gershwin rappresenta uno dei punti di connessione più importanti tra quelli che allora erano il vecchio e il nuovo mondo musicale. Con opere come Rhapsody in Blue, Porgy and Bess e An American in Paris, egli seppe fondere con naturalezza il linguaggio jazzistico con le strutture della musica per orchestra.
Da non dimenticare poi il fondamentale contributo del fratello Ira, paroliere/librettista di tante opere.
Questa dinamica di scambio artistico ha aperto la strada a molti musicisti jazz che, nei decenni successivi, hanno esplorato il repertorio dei compositori classici per creare nuove forme di espressione.
Il disco di cui parliamo oggi ne è una testimonianza viva: non solo celebra il lavoro di Gershwin, ma si inserisce in una lunga tradizione di dialogo e trasformazione continua tra generi musicali solo apparentemente distanti.
L’album Gershwin’s World, pubblicato nel 1998 da Herbie Hancock per i 100 anni dalla nascita del musicista americano, rappresenta molto più di un tributo a George Gershwin: è una connessione tra diverse epoche, stili e mondi musicali. Questo lavoro si colloca in un contesto in cui il jazz ha svolto storicamente il ruolo di mediatore tra molteplici tradizioni musicali.
La forza dell’opera di Hancock sta nel suo approccio aperto, che non solo reinterpreta Gershwin, ma lo reinventa, esplorando nuovi spazi creativi senza perdere il contatto con lo spirito originario del compositore.
Neanche negli arrangiamenti, come mostra chiaramente ad esempio il brano “Lullaby“, che, dopo altri pezzi sapientemente riarrangiati in chiave jazzistica, mantiene di sottofondo la sua matrice orchestrale (con l’Orpheus Chamber Orchestra), in cui però si inseriscono i tasti bianchi e neri del buon Herbie.
Hancock si avvicina a Gershwin con rispetto, ma anche con una libertà creativa che riflette la sua personale evoluzione come musicista. Non si limita a eseguire le partiture originali; piuttosto, come egli stesso ha affermato, “cerca di entrare nel nucleo di ogni pezzo, esaminando le intuizioni originarie del compositore e ricomponendole con una prospettiva contemporanea“.
Questo processo è evidente in brani come il celebre standard “Summertime“, dove la voce inconfondibile di Joni Mitchell si intreccia con l’armonica di Stevie Wonder, dando vita a una versione piena di contrasti e profondità emotiva.
I due sono anche presenti nell’altrettanto spettacolare versione di “The Man I Love“
La presenza di collaboratori illustri, tra cui Wayne Shorter e la soprano Kathleen Battle, arricchisce ulteriormente l’album. Ognuno di loro porta qualcosa di unico al progetto, contribuendo a rendere Gershwin’s World un’opera corale, complessa e sfaccettata.
Shorter, ad esempio, offre una rilettura originale di “Cotton Tail” – un brano basato sugli accordi di “I Got Rhythm” – dimostrando come il jazz sia un linguaggio vivo, capace di reinventarsi a ogni interpretazione.
Un elemento fondamentale di questo progetto è la capacità di Hancock di bilanciare la precisione tecnica con l’improvvisazione. In “Blueberry Rhyme“, un duetto per pianoforte con il compianto Chick Corea (altro pilastro del piano jazz), si può percepire questa tensione creativa tra rigore e libertà.
Hancock esplora non solo il repertorio di Gershwin, ma anche le influenze musicali che hanno plasmato il compositore. Da Maurice Ravel, che rifiutò di dare lezioni a Gershwin per non “soffocare il suo talento melodico”, a James P. Johnson e W.C. Handy, i cui ritmi e melodie hanno ispirato le creazioni del compositore americano; Hancock tesse un filo conduttore che attraversa diverse tradizioni musicali, collegando mondi lontani nel tempo e nello spazio.
In Gershwin’s World, Hancock celebra, insomma, quei compositori e musicisti che, come Gershwin, hanno cercato di espandere i confini della musica americana.
Duke Ellington, ad esempio, è presente simbolicamente nell’album, rappresentato dalla suddetta rielaborazione di “Cotton Tail”. Ellington e Gershwin, entrambi nati a distanza di un anno l’uno dall’altro, condividono lo spirito di ricerca e la volontà di ampliare il linguaggio musicale del loro tempo.
Altro riferimento a Ravel, che, affascinato dall’opera di Gershwin, fu uno dei primi compositori europei a integrare influenze jazzistiche nel proprio lavoro, si trova nel “Concerto per piano e orchestra in Sol – Secondo movimento“, che Hancock reinterpreta nell’album, facendo dialogare il pianoforte con l’Orpheus Chamber Orchestra.
Il disco è un capolavoro anche sotto il profilo tecnico, apprezzato dagli audiofili per l’eccellente qualità sonora. Registrato e mixato presso studi di livello come il Sony Music Studio di NY e svariati altri sia nella grande mela che in giro per gli States, l’album ha beneficiato della collaborazione di ingegneri audio di fama mondiale.
Il risultato finale, masterizzato da Mark Wilder, è una resa sonora di altissima caratura, con una grande attenzione alla dinamica e alla fedeltà dei suoni. L’ascolto in alta definizione mette in evidenza ogni dettaglio delle performance, dalle percussioni alle voci, ai suoni avvolgenti del pianoforte di Hancock, creando un’esperienza di ascolto immersiva che valorizza l’intera produzione.
Gershwin’s World riesce quindi a trasformare il concetto di tributo in qualcosa di più profondo e complesso: non è un semplice omaggio, ma una riflessione sulla natura stessa della musica come linguaggio universale.
Oggi ne parliamo per dare una porta d’accesso al mondo di Gershwin anche a chi non ha l’orecchio “pronto” per le sonorità originali: prendete la mano di Herbie e lasciatevi condurre da lui, ne varrà la pena.
Aggiungi Commento