Con la stellare produzione di T-Bone Burnett, arriva a ben quattordici anni di distanza dal precedente “Searching For Simplicity” (1997, Sony) il settimo album solista di Gregg Allman, fondatore con il compianto fratello Duane (1946-1971) dell’Allman Brothers Band.
Disponibile come CD, doppio vinile o per il download digitale, Low Country Blues è un sentito omaggio al blues, con una selezione di 12 brani da ottimi repertori come quelli di Muddy Waters, Junior Wells, B.B. King, Otis Rush, Skip James e altri grandi del blues, più una manciata di tradizionali e l’originale Just Another Rider, co-firmata dal 64enne cantante/tastierista/chitarrista (ritmico) di Nashville con Warren Haynes, chitarrista insieme a Derek Trucks dell’attuale A.B.B. Tutto l’impianto del disco è di straordinario spessore e qualità, sia tecnica che artistica. Misurati, sempre pertinenti e con una pronuncia profondamente bluesy gli interventi chitarristici di un sorprendente Doyle Bramhall II, che, affrancato per una volta dal ruolo di “secondo” di Eric Clapton, qui condivide l’onere e l’onore con lo stesso Burnett.
Allman appare in buona forma vocale (prima dell’intervento chirurgico al fegato subìto proprio dopo le registrazioni) e perfettamente calato in uno stile che gli sta a pelle. Tutta la band è di alto livello, a cominciare dal piano del Dr. John “Mac” Rebennack; ma il responsabile principale del sound generale è forse il contrabbasso legnoso di Dennis Crouch (John Fogerty, Willie Nelson, Elvis Costello, Vince Gill, Elton John, Leon Russell, Loretta Lynn, Bill Frisell, Marc Ribot), mentre la batteria è affidata a Jay Bellerose (Solomon Burke, Robert Plant, Suzanne Vega), entrambi usuale sezione ritmica di Burnett.
Nella ricostruzione di arrangiamenti e sonorità appropriate si inseriscono anche cori femminili, la chitarra di Vincent “Esquire” Esquer, ospite in un pezzo, il Dobro di Colin Linden e il mandolino di Mike Compton. Si aggiunga a tutto ciò una bilanciata sezione fiati, il solido organo Hammond del leader e una registrazione con dinamica e “aria” da vendere… Senza ombre di cedimento, il lavoro culmina nel traditional Rolling Stone, in una versione che puzza di piedi pestati sull’impiantito e “acque fangose”, degna conclusione per uno dei dischi blues più belli e sinceri degli ultimi anni.
Fabrizio Dadò da Axe Magazine n.165© Edizioni Palomino
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