Un periodo di nove mesi senza un disco nuovo e una pausa dall’attività live hanno probabilmente concesso a Neil Young il tempo per ripescare dal passato delle registrazioni acustiche, che in tempi ed arrangiamenti diversi aveva pubblicato negli anni nei suoi album.
Hitchhiker rappresenta una svolta nella serie di uscite “d’archivio” di Neil Young, poiché non si tratta, come accade di solito, di un live d’epoca, bensì appunto di 10 canzoni in studio che provengono da un’unica sessione dell’11 agosto 1976.
Questa registrazione era rimasta completamente sconosciuta, come tanti album mai pubblicati da Young, fino alla sua menzione nell’autobiografia Special Deluxe, ed ora siamo finalmente in grado di ascoltarne il contenuto.
Risultano particolarmente interessanti, adesso che sono raggruppate in un unico lavoro anziché sparse su più opere, le tre storie di guerra e violenza “Pocahontas”, “Powderfinger” e “Captain Kennedy”.
Questo trio di brani posti ad inizio album mostra subito l’atmosfera piuttosto scura delle composizioni di Neil Young del periodo, in bilico tra la canzone di protesta, la critica dell’imperialismo americano e la volontà di raccontare “semplicemente” delle storie.
I pezzi completamente inediti sono due: “Give Me Strength”, un racconto decisamente malinconico e triste della fine di una relazione, e “Hawaii”, una ballata acustica piuttosto misteriosa e sinistra.
Spicca inoltre la title-track, una cruda riflessione sulla fama e il successo, tra “luci al neon e notti senza fine“, riferimenti alla cocaina e alla paranoia.
Young l’aveva riarrangiata, in maniera molto più elettrica, nel disco Le Noise del 2010, aggiungendo una strofa sulla sua gratitudine verso i figli. Ma in questa versione originale del 1976 non ci sono persone che possano confortarlo; si percepisce la solitudine e la crudezza del suo racconto.
Così come in “Human Highway” definisce il tipico tratto dell’essere umano come la crudeltà, al posto dell’amore.
Nella sua autobiografia descriveva queste registrazioni come “piuttosto spietate”, raccontando come si fosse fermato tra una canzone e l’altra solo “per erba, birra o cocaina“.
Ma il risultato è senz’altro interessante e ci restituisce il Neil Young della “ditch trilogy”, i tre album oscuri che realizzò tra il 1972 e il 1974 dopo il grande successo di Harvest (e in un certo senso a causa di esso).
Francesco Taranto
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