Una malevola coincidenza fa sì che il materiale incluso nel cofanetto edito dall’etichetta di Chicago – trasferito in digitale dagli originali analogici – divenga di pubblico dominio a nemmeno due mesi dalla prematura scomparsa di Grant Hart, batterista, cantante e forza motrice del trio almeno quanto Bob Mould.
Savage Young Du è frutto di una gestazione lunga – sette anni! – e travagliata, dovuta ai rapporti non idilliaci fra i membri della band e alla ritrosia con la quale Greg Ginn ha concesso il via libera all’utilizzo dei brani pubblicati ai tempi dalla sua SST.
Si tratta di una panoramica retrospettiva sul periodo iniziale del gruppo, precedente l’accordo con l’indipendente californiana di cui sopra: cronologicamente, dal maggio 1979 al dicembre 1982.
Prima cioè che gli Hüsker Dü diventassero un faro nella scena statunitense per mezzo del monumentale Zen Arcade (1984) e più ancora dal passaggio in Warner Bros, dove avrebbero concluso l’avventura nel 1987 con l’altrettanto imponente Warehouse: Songs And Stories, presagio dell’incipiente mainstream alternativo.
Il colpo d’occhio è avvincente, anche grazie al corredo (fotografie e flyer d’epoca, il racconto introduttivo di Erin Osmon e le dettagliate note relative alle fonti sonore utilizzate) racchiuso nell’allegato volumetto di 144 pagine.
Venendo alla musica: il repertorio consiste di 69 episodi (distribuiti in tre CD o quattro dischi in vinile), 47 dei quali inediti (una decina del tutto, gli altri in versioni mai ascoltate in precedenza, se non su bootleg), per un totale di 160 minuti abbondanti.
Tanta roba, insomma: trasferita dai supporti analogici in digitale da Ken Shipley, fondatore di Numero Group, negli studi Electrical Audio di Steve Albini.
Di ciò che già si conosceva troviamo 13 pezzi dei 17 del live Land Speed Record (appartenenti però a un set differente, tenuto tre settimane dopo nel medesimo luogo, il 7th Street Entry: superiore all’originale, nell’opinione dei curatori).
I pezzi mancanti compaiono comunque altrove nella sequenza, i cinque dei primi due 45 giri (“Statues” e “Amusement” dal debutto in vesti diverse), la dozzina di Everything Falls Apart e un tris proveniente dalle compilation Barefoot & Pregnant e Kitten.
Le novità sono contenute in prevalenza nella sezione d’apertura, sovente scovate fra le cassette registrate dal fonico Terry Katzman al Jay’s Longhorn, “il CBGB di Minneapolis”.
Si spazia tra furore elettrico (“Insects Rule The World”, “Sexual Economics”, “Let’s Go Die”), avvisaglie della maturità futura (“Can’t See You Anymore”, “Truth Hurts”) e indizi di un’inclinazione post-punk (“All I’ve Got To Lose Is You”, “Outside”) altrimenti rappresentate solo dal primissimo singolo, con una cover deragliante di “Chinese Rocks” (Johnny Thunders/Ramones) come ciliegina sulla torta.
Svettano poi i prototipi di quattro composizioni destinate a figurare in Metal Circus, EP inaugurale del rapporto con SST, in particolare “Diane” e “It’s Not Funny Anymore”: esemplari della combinazione fra istinto hardcore e sensibilità melodica che avrebbe reso speciali gli Hüsker Dü, qui ancora “giovani” e “selvaggi”.
Alberto Campo
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