“Woke up lost in a world I didn’t know” faceva l’incipit delle Cautionary Tales Of Mark Oliver Everett (2014). “The deconstruction has begun, time for me to fall apart” recita in avvio il nuovo lavoro degli Eels. Questi attacchi, così frequenti nella lirica dell’uomo chiamato E, ci dicono che i casi sono due: o siamo in presenza di un artista depresso e confuso, o di un grande affabulatore.
Cioè di un autore consapevole che, per catturare l’attenzione del pubblico, bisogna trovare il protagonista in grave difficoltà: nelle storie altrui, al contrario della nostra, ci appassiona la sofferenza, non l’appagamento. Scavare con le unghie in mezzo a rifiuti e detriti per trovare il fiore di De André, nato dal letame; avendo visto l’intera famiglia spazzata via da malattie e suicidi quando aveva a malapena vent’anni, Everett non ha fatto altro nella vita.
“The reconstruction will begin only when there’s nothing left” dice, e sa bene di cosa parla. Senza aspirare all’eroismo né ripiegare nell’autocommiserazione, l’esistenza di quest’artista è un viaggio alimentato da un disincantato ottimismo, che lo porta ad affermare “I have a premonition: it’s all gonna be fine”.
Mickey Petralia torna alla coproduzione dopo due decenni, e con lui torna anche un suono più caldo e più soulful, reminiscente dell’epoca di Electroshock Blues e Daisies Of The Galaxy. Ma questi son dettagli: se il disco vi piacerà, non sarà per il suono della grancassa. Sarà per la storia di un autentico survivor, che continua.
Francesco Segoni
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