Lanciando le solite invettive contro ignoti, fra lo stupore degli avventori del negozio di dischi, si sente nell’aria un album strumentale in cui, diversamente dal solito, l’artista predilige la creazione delle atmosfere e di sani groove evocativi a mere esibizioni di pura tecnica… l’orecchio viene rapito dai suoni piuttosto personali e graffianti, dagli effetti insoliti e contaminati, dal sapiente mix di atmosfere evocative di altre epoche e suoniche sfiorano per un attimo situazioni techno-rap-dance pur rimanendo sempre nel rassicurante territorio del rock viscerale e pesante, di quello che ti attanaglia le budella e te le scuote a ritmo di musica fino alla fine del disco… Si tratta di A Fine Pink Mist, l’album di Jake E. Lee. Sembra quasi di riconoscere tutti i suoni, quasi ci fosse qualcosa di comune alla base di tutti i moltissimi timbri che caratterizzano l’album… le note di copertina ci fanno rendere conto di esserci sbagliati… o forse no ^_^ Leggendo la strumentazione sembra, infatti, di capire che non siano stai usati amplificatori per la registrazione delle tracks, bensì una moltitudine incredibile di “pedalini” collegati direttamente al mixer! ^_^ Ce n’è per tutti gusti, un vero festival del fuzz, del wha e via elencando… Tre o quattro diversi distorsori utilizzati per ogni brano, Proco-rat, XXL, Rogermayer, Dunlop, Univox e decine di altri, chorus, flanger e octaver tra cui un curiosissimo “Diaz Tremodillo”, veramente eccezionale, che caratterizza la bellissima cavalcata in stile hard-psichedelic-surf (i BeachBoys sotto effetto allucinogeno n.d.r.) Demon a go-go, un brano veramente imperdibile!!!!!!! L’impressione che si riceve è proprio quella che l’album sia registrato in diretta nel banco, senza amplificatori. Chissà… Ci sono situazioni come questa dove si fatica a distinguere l’origine del timbro del segnale: Jake E. Lee potrebbe dichiarare di avere usato una montagna di amplificatori vintage, o al contrario di non averne usato neanche uno ed aver suonato in diretta…. francamente non ci sono elementi sufficienti per contraddirlo in entrambi i casi…. Ma torniamo all’opera di Jake E. Lee: chi lo segue da molto, da quando suonava con Ozzy, forse rimarrà un po’ deluso dalla produzione Badlands. A quale “stile” si avvicina di più questo disco? All’heavy rock del periodo “Ozzyano” oppure all’hard rock molto ispirato ai Led Zep dei Badlands? Diremmo che non si rifà direttamente a nessuno dei due periodi, ritenendolo in qualche modo un album “sperimentale” e di “ricerca”, ma in maniera ridotta; non c’è da aspettarsi chissacché dal punto di vista del “nuovo”, mentre si riceve sicuramente molto dal lato della cura dei suoni e delle ambientazioni, delle atmosfere e degli arrangiamenti: un’opera, insomma, che si discosta dal cliché degli album strumentali che, volenti o nolenti,sono sempre in qualche modo una vetrina delle abilità dell’artista. Il termine giusto per definire quest’album è “evocativo”, poiché questa è sicuramente l’atmosfera che fa da filo conduttore a tutti i brani. L’artista, anche se dotato di una tecnica che tutti conosciamo come notevole, non dà mai sfoggio di sé, non è mai in evidenza, ma sempre al servizio dell’atmosfera…I richiami ad una psicologia del rock ormai datata sono più che avvertibili, ma non disturbano, anzi sono un pregio di quest’opera, che restituisce l’immagine di un artista ancora vivo e pimpante che sa, con evidente maestria, coniugare suoni nuovi e vecchi, ritmi sfruttati, ma non lisi, rivisitando tutto il rivisitabile ma senza l’idea del recupero difortuna. Un album sicuramente da possedere, decisamente superiore al periodo Badland, che vede già nella magia del solo brano Demon tutti i motivi per giustificarne l’acquisto.
Casa discografica: Mascot Records
Anno: 2000
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