Flying In A Blue Dream è sicuramente uno dei migliori album di Joe. Quello che ci stupisce al primo impatto è sicuramente il progressismo musicale, assolutamente “avanguardistico” rispetto al periodo in cui è stato pubblicato. Un lavoro nel quale Joe mette tutta la sua preparazione non solo chitarristica ( e qui c’è il bello! ) ma anche bassistica, tastieristica e a volte batteristica; si sentirà il nostro chitarrista suonare strumenti come l’armonica a bocca “distorta” o il banjo .. In buona sostanza l’intero album è suonato da lui. Chiaramente però, Joe si avvarrà in alcuni brani del supporto di grandi musicisti come Jeff Campitelli (batteria) o Stuart Hamm (basso). L’ascolto è abbastanza difficile, ma non per questo tediante. Anche esteticamente il lavoro sembra molto ben fatto: il booklet, presenta un paio di fotografie che “immortalano” Joe in sala (questo è un “must” per i dischi di Satriani) e la chitarra che dovrebbe aver usato per le registrazioni. Da notare è il fatto che questo, a differenza di molti altri, non è un lavoro completamente strumentale, ma anche cantato, per di più dallo stesso chitarrista.All’interno dell’album si respirano arie di diversa fattura. Satriani si diverte, quasi per gioco, a rivisitare molti generi e a proporne altri. L’audizione inizia con tre brani dalla forgia abbastanza simile: Fliyng In a Blue Dream (da cui prende il nome l’album), The Mystical Potato Head Groove Thing e Can’t Slow Down. Tutti presentano riffs di chitarra abbastanza veloci e ritmiche molto ben fatte. I soli sono al fulmicotone, come ci sarebbe da immaginare pensando a Satriani e l’ultima delle tre tracks è anche cantata.Il quarto brano ci inizia a presentare il lato oscuro, meno conosciuto, di Satriani. E’ un brano interamente strumentale nel quale il chitarrista si “diletta” nell’uso di un’armonica a bocca in tipico stile blues, ma con un beat molto più veloce.Tanto per cambiare genere, la track numero cinque Strange, si presenta come un pezzo funky, cantato. Sinceramente c’è da constatare un neo: nel bel mezzo del pezzo si sente un solo di chitarra che stanca un po’. Certo è, però, che perfino la voce è curatissima. Ciò lo si percepisce nel ritornello della canzone durante il quale si sente una forte “background” che rende tutto molto “metallico”.Il sesto brano è probabilmente uno dei più belli dell’album. I believe si presenta come un dolcissimo arpeggio tutto mantenuto da un “sol” che continua in tutta la canzone e che si interrompe solo per la voce (sempre di Satriani) e per un solo pieno zeppo di delay, verso la metà del brano, che è sicuramente più difficile da ascoltare che da suonare. Una chicca: durante questo solo Joe usa un effetto per invertire la sequenza delle note. Peccato ..!L’ascolto riprende con One Big Rush, brano che, a nostro avviso, andrebbe sicuramente bene per la colonna sonora di qualche videogame di corse automobilistiche. Anche qui sono apprezzabili sovraregistrazioni di chitarre e soli al millisecondo.Nelle track numero nove e dieci poi, Satriani ci dà due lezioni di banjo. Meraviglioso e simpaticissimo è il riff molto “texano” che accompagna The Phone Call. Altra cosa da notare in The Phone Call, la voce è modificata per far credere che il cantante sia davvero a telefono.La track numero undici è un brano interamente improntato sul tapping. Meraviglioso, si respirano atmosfere di tramonti visti dalla spiaggia. The Forgotten e Bells Of Lal, sono poi entrambi divisi in due parti. Il primo brano ha una caratteristica fondamentale: il delay. In questo brano questo effetto è usato magnificamente, tanto da evocare atmosfere quasi “floydiane”, o perlomeno psichedeliche. La seconda parte di Bells Of Lal, invece, spezza un po’ con il resto del “quartetto”. Si ascolta come un brano “saltellante” e pieno di slap di basso. Chiaramente, non mancano usi indiscriminati della whammy bar, con cui Joe crea cose davvero fuori dal mondo!L’ultimo brano Into The Light, è interamente descritto dal titolo. Ha le caratteristiche sonore di un inno: organi di sottofondo e batteria con delay per un effetto più “al rallentatore”.Certamente uno dei dischi che per Satriani ha segnato un’epoca, al quale avvicinarsi per un ascolto interamente dedicato alla versatilità chitarristica.
Casa discografica: Relativity Records
Anno: 1989
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