Oggi parleremo di un disco molto importante nella discografia di uno dei chitarristi più apprezzati e conosciuti della scena hard/rock/metal strumentale… (prendo fiato) Non si tratta sicuramente del suo disco più famoso, anzi, a livello di pubblico forse è stato poco apprezzato e probabilmente sottovalutato ma, sempre secondo me, questo disco rappresenta una tappa molto importante nella carriera del nostro oramai pelatissimo guitar hero.Un po’ di storia…Siamo nel ’95, l’ultimo disco di Joe risale al ’93, “Time Machine”, un disco controverso, per metà live e per metà collage di vecchi pezzi già scartati dalle produzioni precedenti, che offre spunti carini ma non convince granché; insomma un mezzo passo falso dal quale riscattarsi, specie se consideriamo che il predecessore è proprio “The Extremist”, grandioso disco contenente forse la maggiore concentrazione di capolavori che questo grande chitarrista ci ha donato. Ma torniamo a noi, dicevo che siamo nel 95, il rock strumentale di vecchia generazione che ha spopolato da metà anni ’80 sta ormai cedendo il passo e pezzi cantabili e immediati sulla falsariga di “Surfing with the Alien” o “Summer Song” ormai non hanno più presa, come non ha più molto senso un suono di chitarra processato e zeppo di effetti che questo genere si è portato a traino finora.Con queste premesse sembra chiaro che uscire con un disco “alla Joe Satriani” sarebbe forse un fiasco annunciato e lo “zio Joe” probabilmente deve aver pensato che, se proprio correva il rischio di esserlo, meglio che fosse uno col botto… detto fatto!Il “disco rosso” rappresenta per Joe il massimo rischio, un cambio quasi radicale sulle sonorità e sull’approccio alla sua musica e soprattutto è il preludio di un lungo percorso evolutivo che da quel momento Satriani affronta ad ogni uscita successiva fatto di sperimentazioni compositive, sonore, quasi filosofiche.Le particolarità che contraddistinguono questo disco, che per me è sicuramente uno dei momenti più “sinceri” di Satriani, sono diverse, in primis i suoni, nuovi, asciutti, diretti e senza tanti fronzoli, la chitarra viaggia sempre molto avanti nel mix, i tipici suoni iper-compressi e molto saturi di “Surfing with the alien” non ci sono più, le distorsioni sono morbide, molto modulate; c’è tanto uso del volume e del tocco ed un approccio decisamente bluesy, con il resto della truppa che procede sugli stessi binari… già, non vi ho presentato la band in effetti:
- Joe Satriani – chitarra, dobro, harp, slide guitar, basso elettrico, lap steel, voci
- Andy Fairweather Low – chitarra ritmica
- Manu Katche, Ethan Johns, Jeff Campitelli – batteria
- Nathan East, Matt Bissonette – basso
- Greg Bissonette – percussioni
- Eric Valentine – piano
Come avranno notato i più attenti, ci sono molti outsider del genere, soprattutto Manu Katche che per le sue fortissime influenze afro/latin farebbe pensare ad un pesce fuor d’acqua in un disco di sano rock n’ roll. Invece scopriremo che questi signori musicisti non solo suonano alla grande del sano rock n’ roll ma lo possono portare ad esplorare orizzonti decisamente personali e inusuali.Tornando al sound, a detta di Joe si è voluto mantenere l’accento sull’immediatezza del disco: di fatto più del 90% del materiale è registrato in presa diretta con pochissime take e molta improvvisazione, i suoni sono asciutti e molto acustici nell’insieme e certi pezzi sembrano più delle jam sessions che non dei pezzi studiati a tavolino e questo al sottoscritto piace davvero tanto.Sempre parlando di insieme, i pezzi forse sono penalizzati da una grande eterogeneità di stili, per certi versi viene il dubbio che ci fosse altra roba da riciclare avanzata dopo “Time Machine”, tuttavia il livello è buono, forse non eccelso, le vere chicche sono poche ma tutto il disco scivola via che è un piacere.La scaletta, con, se necessari, alcuni commenti:
In definitiva questo disco omonimo è una produzione atipica, ben registrata e con dei suoni molto belli e puliti; a livello compositivo è sicuramente un disco poco sviluppato, del resto l’immediatezza era il primo obbiettivo, necessita di un po’ di ascolti per essere digerito, ma regala tanti piccoli momenti piacevoli e mette a nudo un Satriani molto intimista e minimalista, fino ad allora inedito.Mi rendo conto come “questo Joe satriani” non contenga momenti davvero notevoli, tutto sommato però si mantiene su una media costante abbastanza buona e alla fine dell’ascolto ci rendiamo conto che, sebbene non ci sia un pezzo che abbiamo amato alla follia, non ce n’è nemmeno uno che detestiamo al punto da fare lo skip alla prossima traccia… proprio per questo vado a riascoltarmelo, sperando di avervi incuriosito con questo “ripescaggio” in dischi datati ma sempre interessanti da riscoprire.Roberto “robyz” Sanna
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