Dici Glen Hansard e pensi a un classico. Eppure Between Two Shores è solo il terzo album dell’ex busker irlandese. Prima ci sono stati i Commitments, i Frames, gli Swell Season e l’Oscar per Falling Slowly, d’accordo, ma da quando il Nostro ha iniziato a firmare dischi col proprio nome e cognome è passato appena un lustro.
Frutto di un’invidiabile maturità compositiva ed esecutiva, di una sempre maggiore fiducia in se stesso, Between Two Shores rischia di essere il suo lavoro migliore. Non più (soltanto) menestrello folk, Hansard si tuffa in sonorità anni Settanta, tra eleganza soft-rock e il melting pot del Jersey Shore sound, registrando i dieci nuovi brani in poche settimane negli studi francesi Black Box e producendosi per la prima volta da solo.
Si parte con il rock’n’soul di “Roll On Slow”, una spruzzata di energia prima di una serie di ballate da brividi, “Why Woman”, “Wreckless Heart”, “One Of Us Must Lose”. La voce di Hansard è un balsamo capace di ammorbidire l’anima più sfuggente e di rimettere insieme i cocci delle storie più disperate.
L’invito ad andare avanti e buttarsi alle spalle ogni incertezza è commovente in “Setting Forth” (“Vado avanti con i miei dubbi / E lascio andare tutto ciò che cerca di fermarmi ora”), ma anche lo splendido languore di “Lucky Man” e le carezze consolatorie di “Time Will Be The Healer” (“Il tempo sarà il migliore amico che tu conosca / Il tempo sarà il guaritore”) contribuiscono a cicatrizzare i tagli inferti.
Pierluigi Lucadei
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