In Triumphant Hearts Jason Becker mette assieme Vai, Satriani, Roth, Friedman, Govan, Bonamassa, Morse, Gilbert e altri grandi artisti per le sue composizioni.
Pare difficile che qualcuno non conosca Becker, sia per la il suo talento che per la sua incredibile storia, ma spendere due parole appare d’obbligo sull’enfant prodige della seicorde, nato a Richmond in California nel 1969, che fin da piccolo dimostra grandi doti musicali imparando a suonare la chitarra come il padre e lo zio.
Grazie al suo talento, appena ventenne entra nella band di David Lee Roth – che aveva lavorato con chitarristi del calibro di Steve Vai e, ovviamente, Van Halen – dopo aver già raggiunto il successo con l’amico Marty Friedman (da poco entrato nei Megadeth) nei Cacophony.
Purtroppo, poco dopo arriva la diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) e gli vengono dati dai 3 ai 5 anni di vita; ciononostante, riesce a terminare con fatica le registrazioni dell’album A Little Ain’t Enough (1991) che diviene presto disco d’oro.
Da quel momento, pur avendo perso la facoltà di suonare la chitarra, di parlare e di respirare autonomamente, Becker continua a comporre e comunicare con il mondo attraverso un sistema sviluppato da suo padre che interpreta il movimento degli occhi per eseguire lo spelling di parole, note e accordi.
Il suo spirito combattivo è stato omaggiato con un documentario vincitore di un Emmy dal nome Jason Becker: Not Dead Yet.
In barba alle nefaste aspettative mediche, le sue condizioni di salute sono stabili dal 1997 e l’artista è diventato un simbolo, un tributo alla forza di volontà e all’amore per la musica in generale e la chitarra in particolare.
Ben lungi, dunque, dall’arrendersi, Jason è più prolifico che mai e dopo vari album da lui composti e prodotti, ci regala una nuova testimonianza delle sue doti compositive e della sua profonda conoscenza della musica classica, con un nuovo album di musica orchestrale eseguita dal gotha degli strumentisti internazionale, arricchito da alcune sue performance degli anni ’80 e primi ’90 che faranno la gioia dei numerosissimi fan in tutto il mondo.
La title-track è affidata al compagno di sempre Marty Friedman, che – con il solito gusto che lo contraddistingue – colora la composizione fortemente melodica insieme alla moglie Hiyori Okuda (violoncellista) e al violinista Glauco Bertagnin. Lento di gran classe, “Hold On To Love” è un brano cantato dall’ottimo Codany Holiday che ci lascia in compagnia della sognante “Fantasy Weaver”, interpretata dal grande Jake Shimabukuro e dal suo ukulele.
Importante il brano “Once Upon A Melody”, in cui l’artista odierno si mescola con il Jason ragazzo (con due assolo registrati prima della malattia) e, in coda, bimbo di 3 anni, come a mostrare il circolo della propria esistenza.
Davvero bella “We Are One”, secondo brano cantato – questa volta dal cantante dei Flipside, Steve Knight – che ricorda lo stile delle big band dei seventies e che viene impreziosito da registrazioni dello stesso Becker.
È poi la volta di Uli John Roth (suo grande amico e fonte di ispirazione) e Chris Broderick (ex Megadeth) nella solare “Magic Woman” e di una delicata “Blowin’ In The Wind” cantata da Gary Rosenberg.
Splendida – più per i singoli interventi che per il brano in sé – la morbida “River Of Longing”, in cui Joe Satriani, Guthrie Govan, Steve Morse e Aleks Sever si palleggiano le parti in un balletto di maestri della seicorde.
Probabilmente, però, è con la strumentale “Valley Of Fire” che troviamo la traccia più rappresentativa (è stato tratto anche un video), in cui sono i magnificent 13 a dividersi oneri e onori: Steve Vai, Joe Bonamassa, Paul Gilbert, Neal Schon, Marty Friedman, Michael Lee Firkins, Mattias IA Eklundh, Greg Howe, Jeff Loomis, Richie Kotzen, Gus G, Steve Hunter and Ben Woods.
E scusate se è poco.
Altra take per “River Of Longing”, stavolta in chiave classica con l’interpretazione di Trevor Rabin, che lascia poi la palla al Jason in gran spolvero con degli outtakes delle sessioni di registrazione di A Little Ain’t Enough: la tirata “Taking Me Back” e l’heavy blues di “Tell Me No Lies”.
A chiudere la nuova release ci pensano un remix di “Hold On To Love” a cura di Chuck Zwicky e “You Do It”, in cui riappare il bimbo Jason in una registrazione che dice You Do it.
Ed è proprio così: Jason Becker lo ha fatto, ed è la dimostrazione di come la tenacia e l’amore possano prevalere sulle umane fragilità.
Alcune persone si sentono dispiaciute per me, e lo capisco. Ciononostante mi sento fortunato. Non mi manca più suonare la chitarra. Ovviamente è dato dalla contingenza, ma sono grato per molto altro. Sono circondato da persone che mi vogliono bene e posso ancora fare musica. – Jason Becker
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