Music For Installations di Brian Eno raccoglie creazioni musicali del geniale artista inglese dal 1986 a oggi.
Meraviglia, perfezione. Per quantificare il microcosmo contenuto nelle sei sezioni di Music For Installations, si potrebbe partire dal significato di questi due sostantivi e applicarlo di volta in volta alle singole fasi artistiche di una divinità della musica moderna come Brian Eno.
Il non-musicista ha ben pensato di ordinare le musiche create per le più svariate installazioni a cui ha partecipato dal 1986 a oggi in un unico box definitivo. Un’opera dunque immane, complessa, e alla quale bisogna approcciarsi tenendo conto delle singole epoche attraversate e delle micro-mutazioni compositive alle quali sua Maestà ci ha abituati nel corso degli ultimi trent’anni.
Variazioni su temi che nascono da una volontà di ricerca inesauribile, snocciolate a seconda dell’occasione con la compostezza e l’intelligenza dei più grandi.
L’idea di partenza di Eno è mutare forma nell’immutabile, specchiarsi all’infinito sino a scorgere altrettante infinite immagini di un sé immaginifico, eternamente sublimato dal reiterarsi ciclico di sovrapposizioni tonali, barre armoniche dilatate nel tessuto spazio-tempo come filigrana, ritorte e idealmente sovrapposte a sculture fisiche adagiate in appositi spazi concettuali, le cui luci e ombre adempiono al delicato compito di intersecare udito e vista in un amplesso sensoriale appagante, illuminante.
La suddivisione degli episodi comincia dall’inedito “Kazakhstan”, presentato al padiglione britannico di Expo Astana 2017 a inaugurare le quattro parti di Music From Installations. Una suite evocativa, avente per tema l’energia nelle sue possibili forme future, poggiante sopra un sottilissimo velo di epicità.
Materia oscura che si espande lemme lemme, e in tutte le direzioni. I cosiddetti Light Paintings – i dipinti di luce che costituiscono le sue “sculture”, densi di colorazioni e sfumature vibranti, esposti per la prima volta nel giugno del 1985 presso la Galleria del Cavallino di Venezia, per giungere alla mostra al Castello Svevo di Trani dello scorso anno – esplicano la fascinazione visiva del genio di Woodbridge e fungono da modello “fisico” al tessuto sonoro.
“Five Light Paintings” è quindi la sublimazione di tale intarsio artistico. Venti minuti scarni di pura ambient avvolgente, de facto la più antica della raccolta, che quindi pone in evidenza le distanze temporali tra una composizione e l’altra.
Distacchi che segnalano una ricerca solida, equilibrata come il minimalismo propinato per il Palazzo di Marmo a San Pietroburgo nel 1997 attraverso “Lightness”, due lunghe evocazioni che anticipano l’affascinante dialogo con i Dormienti di Mimmo Paladino e i silenzi alternati nelle tre “Kite Stories” per un’installazione al Kiasma Museum di Helsinki del ’99, prima di interagire con i nove momenti di “Making Space”, l’unico spazio del lotto ritmicamente distaccato dai costrutti ambient, tra svolazzi orientaleggianti e atterraggi cosmici di grande resa, che anticipa l’approccio avanguardista del conclusivo “Music For Future Installations”.
Sempre sia lodato.
La recensione di Giuliano Delli Paoli è pubblicata sul Mucchio Selvaggio n.767 in edicola nel mese di giugno 2018.
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