Neil Young è da sempre un artista decisamente prolifico, con tantissimi album pubblicati e quasi altrettanti registrati, scartati ed eventualmente recuperati. Quest’anno non è da meno, con due album all’attivo: il disco acustico Hitchhiker registrato nel 1976 e tenuto nel cassetto fino ad ora e il nuovo album di inediti The Visitor.
L’ultimo lavoro vede la rinnovata collaborazione con la band country Promise of The Real, guidata da Lukas Nelson (figlio di Willie), che lo aveva già accompagnato nel 2015 in The Monsanto Years.
Il gruppo texano consente a Young di ritornare ai territori elettrici di tanti dischi in compagnia dei Crazy Horse, con la medesima carica di distorsione, voglia di improvvisare e dare vita a lunghe jam (cinque brani sul totale superano i cinque minuti di durata e alcuni toccano quota otto/dieci minuti).
Il filo conduttore è l’osservazione del mondo contemporaneo da parte di un artista di protesta della vecchia guardia come Young, deciso e risoluto come sempre a rivolgere critiche feroci.
In The Monsanto Years l’obiettivo erano la globalizzazione e le coltivazioni OGM, ora se la prende soprattutto con l’amministrazione Trump, a partire dal singolo “Already Great” (che risponde al motto elettorale “Make America Great Again”).
Il brano parte dalla celebrazione degli aspetti positivi della vita americana (“amo questo modo di vivere/la libertà di agire e la libertà di dire”), rivendicando ad ogni modo il proprio essere canadese e scagliandosi contro Trump (“no al muro/no alla censura/no agli USA fascisti”).
Più avanti nell’album, Young ha accuse da rivolgere anche alla Clinton nella breve “When Bad Got Good”, in cui accusa entrambi i candidati di essere bugiardi (“rinchiudeteli!/lui mente/tu menti”).
Musicalmente The Visitor è piuttosto ricco, spaziando dall’inno rock “Children of Destiny” al rhythm & blues distorto di “Stand Tall”, che ci riporta alle atmosfere di un disco come “Ragged Glory”.
I Promise of the Real, con Lukas e Micah Nelson alla chitarra, Corey McCormick al basso, Anthony Logerfo alla batteria e il percussionista Tato Melgar, sanno adattarsi alla perfezione ai ritmi bossa nova di “Carnival” o al puro blues di “Diggin’ A Hole”.
Non mancano inoltre dei momenti acustici e più meditativi, come nel folk di “Change Of Heart” che è un’ode all’apertura mentale e al cambiamento. Young è sempre pronto ad esortare a esprimere la propria opinione e al tempo stesso chiede che i cittadini vengano ascoltati (“parlate con la gente/loro conoscono la verità”).
Anche gli oltre dieci minuti della conclusiva “Forever” vedono l’artista descrivere la propria visione distopica e le sue preoccupazioni riguardo all’ambiente, su una melodia dolce e bucolica, dominata dalle chitarre acustiche.
“Voglio veramente fare la differenza”, canta nella traccia finale, e sicuramente a 72 anni sarà stupito di dover ripetere concetti che esprime da tanto tempo e che sono ormai quasi scontati. Ma che evidentemente è importante che vengano ribaditi ogni tanto.
Esiste ancora la musica di protesta? The Visitor è un disco con cui Neil Young ha voluto rispondere affermativamente.
Francesco Taranto
Aggiungi Commento