“Plagio“, una parola che si sente spesso, forse un po’ troppo spesso a dire il vero, soprattutto da quando su internet è disponibile praticamente qualunque incisione musicale, anche quelle che un tempo erano considerate ben più che di nicchia.
Così, capita spesso di leggere qualcuno che accusa questo o quel brano di essere una copia malevola, per la presenza di alcune assonanze più o meno marcate con un’altra composizione precedente, famosa o magari sconosciuta ai più e quindi vittima di ulteriore furbizia da parte del “ladro”.
Ma non è così facile come sembra dimostrare che il presunto plagio c’è stato e che è stato fatto con premeditazione e consapevolezza. È del resto notizia fresca di poche settimane la definitiva assoluzione dei Led Zeppelin dal caso “Stairway to Heaven“, che li ha portati più di una volta in questi anni davanti alla sbarra per dimostrare la paternità di quello che è senza ombra di dubbio, tolte le questioni su qualche accordo o arpeggio, il loro – e solo loro – capolavoro, preso nella sua totale interezza.
Non è, infatti, solo questione di punti di vista, di morale o di “orecchio”, non può ridursi tutto a una sarabanda di opinioni e giochi al confronto tramite i player.
Appunto per questo, trovo la lettura di questo libro di Michele Bovi, affermato giornalista e autore televisivo a cui va il mio plauso per il grande lavoro di ricerca effettuato, assolutamente illuminante per tutti coloro che gravitano intorno alla passione musicale, dai semplici ascoltatori a chiunque imbracci uno strumento e una penna per scrivere sul pentagramma (ai quali si consiglia sin da ora di tutelare comunque con ogni mezzo possibile la propria opera d’ingegno).
Già l’introduzione al libro è molto chiara e afferma un concetto che dovrebbe essere – ma a quanto pare spesso non lo è – piuttosto chiaro: “rassegniamoci, da tempo ogni possibile combinazione melodica, armonica, ritmica, testuale, è stata scovata, rimuginata, rielaborata“.
Il che ovviamente non va certo interpretato come un chinare sommessamente il capo al passato e non inventare più nulla di nuovo, tutt’altro, è di sprone a concepire con positiva indole, invece che con sospetto e repulsione, il fatto che anche i più grandi compositori del passato, da Bach a Mozart a Puccini, hanno riutilizzato del materiale precedente e addirittura loro contemporaneo nelle proprie composizioni, naturalmente filtrato attraverso il proprio ingegno.
Persino due geni del nostro tempo quali Ennio Morricone e Armando Trovajoli, come dice lo stesso Bovi, hanno attinto a piene mani da colleghi come Bernstein, Dave Brubeck e altri, sempre dimostrando di utilizzare quel materiale, quelle scintille musicali, per appiccare un nuovo focolaio di creatività.
Cos’é quindi un plagio? Possiamo pensare che usare le parole “ti amo” in una poesia sia un plagio, in quanto già scritte? No, certo. Caso ben diverso se dessimo alle stampe a nostro nome una poesia con l’incipit “Ei fu, Siccome immobile, dato il mortal sospiro…“
Veniamo quindi al libro e a questi 200 anni di bisticci e inimicizie, con casi accuratamente scelti sia per quanto riguarda l’Italia che l’estero, con prevalenza dei primi per chiara connessione al nostro sistema giudiziario.
Per prima cosa, Bovi ci introduce alla questione, della quale in parte abbiamo già disquisito, sugli elementi distintivi di originalità. Quali sono? Su che base definirli?
Già i primi casi proposti come esempio, anche di tempi recenti, dimostrano che accusa e difesa possono essere in grado di portare consulenti tecnici di pari grado, solitamente Maestri e Direttori d’Orchestra, che arrivano però a conclusioni diametralmente opposte nell’identificare quali siano le qualità che distinguono o meno il brano dalla sua presunta copia e viceversa.
Questa differenza di perizie è un argomento assai centrale nell’intero dibattito, poiché porta alla luce due questioni: quanto sia determinante la sequenza di note presa in esame all’interno della totalità della composizione e, soprattutto, quanto questa idea sia originale e non si possa a sua volta far risalire a progressioni melodiche usuali già secoli or sono e quindi certo non frutto dell’ingegno né dell’uno nè dell’altro autore, a conti fatti.
Scoglio, quest’ultimo, che blocca sovente le decisioni dei giudici.
Prendiamo ad esempio, come suggerito da Bovi nel libro, il Canone in Re Maggiore di Johann Pachelbel. Frammenti più o meno vividi di questa composizione si possono trovare davvero dappertutto, da “Rain and Tears” degli Aphrodite’s Child a “Let It Be” dei Beatles da “Always Returning” di Brian Eno finanche al nostro Jovanotti con la sua “A Te”. Passando anche per colonne sonore di film e chissa quant’altro.
Eppure, tutti questi artisti non hanno esistato a dichiararsi i soli e unici autori delle proprie opere, anche ammettendo, chi più chi meno, l’ispirazione.
A pagina 27 Bovi introduce una massima che forse avrete già sentito almeno una volta nella vita: “gli artisti immaturi imitano, i grandi artisti rubano“. Tra l’altro, il che ci può strappare un sorriso, c’è disparità di opinioni anche su chi abbia pronunciato questa stessa frase e chi l’abbia invece solo “riusata” (plagiata?) tempo dopo (cfr. nota 1 pag. 30)…
Bovi la riporta introducendo un nome pesante della musica pop del ‘900, i Beatles. A tal proposito, Paul McCartney ha confessato senza remore che, soprattutto agli inizi, i fab four attinsero non poco da alcuni loro miti personali, per lo più americani, quali Chuck Berrry ad esempio. Ma anche di essere stati influenzati da altri come Bobby Parker, i Lovin’ Spoonful o addirittura dal repertorio napoletano e dal melodramma italiano, come per il caso (ipotizzato) di “Yesterday” (pag.323).
E gli italiani? Si può perdere davvero il conto nel quantificare quanto del repertorio inglese e americano sia stato riportato in brani cantati nella nostra lingua, a volte con traduzioni letterali (o peggio onomatopeiche) che strappano una risata e non sempre con puntuali dichiarazioni sui legittimi diritti d’autore.
Negli anni ’60, in particolare, Ladri di Canzoni vi mostrerà come ci si facessero ben pochi problemi da questo punto di vista.
Con il boom del mercato industriale e, quindi, anche di quello discografico, con il benessere e le nuove generazioni che compravano dischi in numero fino ad allora mai raggiunto, l’esigenza di avere costantemente del materiale “fresco” da dare alle stampe si fece sempre più impellente, generando una mostruosa quantità di cover che gli abili parolieri italiani riuscivano a riadattare – non senza qualche caduta di stile comunque – a tal punto che le cover diventavano più conosciute e quindi “più originali degli originali” per così dire.
Pazzesco ciò che racconta il Maestro Vince Tempera, secondo cui semplicemente 5 o 6 mesi prima che i dischi originali arrivassero in Italia si sceglievano quelli con le canzoni più orecchiabili e se ne pubblicava una versione in Italiano. Se la reazione del mercato era positiva, l’editore straniero veniva contattato, chiedendo i diritti per incidere la canzone in italiano – che era già stata incisa e pubblicata, a loro insaputa – per pochi spiccioli.
“Con una manciata di dollari era così possibile acquisire i diritti per 25 anni di un disco che magari da noi aveva già venduto milioni di copie“.
Una vera e propria prova di quel tipo di ingegno italiano per cui siamo famosi in tutto il mondo, felicemente o tristemente decidetelo voi.
Come al solito, non voglio anticiparvi altro per non rovinarvi la lettura e prendete quanto ho scritto finora solo come un sasso lanciato sulla superficie di un vasto mare in cui dovrete tuffarvi e avere la pazienza di nuotare, una bracciata per volta per non rischiare di stancarvi e affogare prima dell’arrivo.
Per fortuna, però, la scrittura di Michele Bovi, pur assai densa di fatti e avventimenti, aiuta ad affrontare la materia con uno spirito divulgativo e con un linguaggio per nulla legalese.
Ottima peraltro l’idea di segnalare in appositi riquadri denominati “il confronto” i brani da ascoltare e da paragonare, per farsi un’idea delle somiglianze.
Sono a tutti gli effetti dei racconti, che vi trasporteranno nei luoghi e nel tempo, in tante aule di tribunale ma anche in tanti altri posti in cui si è plasmata la Musica, nel bene o nel male.
E che, nonostante ciò che vi ho brevemente anticipato, non sposta comunque di una virgola il bisogno, reale e necessario, di regolamentare con ancora più adeguate regole la tutela del patrimonio musicale, magari stimolando al dibattito condiviso prima di tutto l’adesione degli autori, che quella della lobby degli avvocati…
Da Caruso a Celentano e il suo Clan, al cui interno la convivenza non è stata certo facile né allora né dopo decenni. Da Lucio Dalla a Michael Jackson, da Guccini a Andrew Lloyd Webber, da Giacomo Puccini a Zucchero, da Sanremo a X Factor.
Il tutto intervallato dall’opera di quattro bravi illustratori che hanno dato tratto e colore a ognuno dei capitoli.
Un percorso che sicuramente potrete scegliere anche da soli, al di là dell’indice proposto, a seconda dei vostri interessi, ma che vi consigliamo comunque in toto nel suo insieme.
Per giungere alla fine delle 334 pagine e affermare, con le parole dello stesso Bovi: “chi è senza peccato scagli la prima nota“.
Maggiori informazioni sul sito ufficiale Hoepli.
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