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L’Aleph di Jorge Luis Borges, “rassegnarsi” ad ascoltare

«A volte penso che i buoni lettori siano cigni ancor più tenebrosi e rari dei buoni autori. [...] Leggere del resto, è un’attività successiva a quella di scrivere: più rassegnata, più civile, più intellettuale».

Il mio maestro

La verità è che questo articolo è un omaggio al mio maestro, a chi mi ha accompagnato per anni e che, tutt’ora, ha ancora la forza di sorprendermi. Ci separano un oceano sconfinato e la morte, ma queste lontananze sono nulle, poiché le sue parole ed i suoi insegnamenti sono sempre con me. 

Sarà un articolo musicale, spero molto musicale, che compenserà od arricchirà il testo, che invece non parla direttamente di musica. Scrivo, oggi, di un autore che negli anni continua a diffondere la sua potente aura, a dispensare insegnamenti preziosi, ad un allievo mai sazio. 

Era un’estate calda e umida, una delle tante estati trascorse nella pianura padana, quando muovevo i primi passi consapevoli nel vasto mondo della letteratura e della filosofia. Credo verso la fine degli anni  ’90.  Probabilmente il 1996, l’anno della mia maturità. Di maturo avevo ben poco. 

In tasca avevo pochi spiccioli ed un libro di poesie. Un walkman della Sony, con alcune musicassette registrate. Non suonavo ma ascoltavo molto. Ascoltavo di tutto, voracemente, per più e più volte. Ogni cosa, ogni genere, ogni artista che potesse dar voce alla mia curiosità, alla mia pazienza, alla mia rabbia. Non capivo perfettamente tutti i generi che ascoltavo, ma mi sforzavo di entrare dentro i brani. Di farli miei. 

Leggevo. Leggevo tanto, di tutto. Poesie, romanzi, saggi. Avevo sempre con me due oggetti, un libro ed il walkman. Non conoscevo ancora l’autore di cui vi parlo. Non ne sapevo nulla. Vidi solo un libro in edicola e lo comprai. La copertina riportava il suo volto e due mani rugose appoggiate sul manico ricurvo di un bastone di lacca. 

Un bastone da passeggio, come quello di mio nonno. Indossava un abito scuro. Il suo sguardo spento. Anni dopo scoprii che Borges era diventato cieco per una malattia degenerativa ereditaria, che gli fece perdere lentamente la vista. Mi innamorai subito delle sue parole. 

Adolescenza e rabbia

Ascoltavo “One Hot Minute” dei Red Hot Chili Peppers. Frusicante era uscito dal gruppo. Dave Navarro era stato chiamato a sostituirlo. I fan erano divisi e critici. Anche allora c’era chi si schierava. Io non riuscivo a schierarmi. Ascoltavo per un giorno intero lo stesso identico album. Dalla prima canzona alla fine, e poi nuovamente dall’inizio. Era uscito nell’inverno del 95 e per tutta quell’estate successiva fu con me. 

Affrontai una prima vera scelta di vita. Dopo la maturità trovai un lavoro estivo, poi ne seguì un altro e, mentre il mio portafoglio si gonfiava di soldi, il mio animo si svuotava lentamente di sogni. Non sapevo dove andare, lentamente mi smarrivo. Mi trovavo di fronte a scelte continue. 

Capii immediatamente che il tempo della sospensione della scelta, il tempo del seduttore, per dirla alla Kierkegaard, che sceglie di non scegliere, era finita. Ora ero di fronte a continui cambiamenti, biforcazioni. Uso il termine biforcazione per un preciso motivo, che in questo articolo non ti svelerò, ma sarà un indizio, come in un romanzo giallo. 

La seconda scelta importante fu quella di iscrivermi, l’anno successivo, all’università, pur non frequentandola, perché il lavoro mi impegnava moltissimo. Nei rari giorni in cui viaggiavo da una città all’altra, in treno, per seguire molto raramente le lezioni e provare a sostenere qualche esame con me c’era sempre lui, il mio walkman. L’album questa volta era Parallax di Greg Howe. Per mesi interi, durante la sessione invernale d’esami mi accompagnò costantemente. Potrei cantare nota per nota l’intero album. 

Magia di un alfabeto

Entrai per la prima volta nella libreria Feltrinelli di Padova, città in cui studiavo, durante un pomeriggio, prima di riprendere il treno che mi avrebbe portato a casa, a Brescia. Girovagavo senza meta, senza un libro specifico da acquistare. Trovai un testo di Borges, una raccolta di racconti editi intorno agli anni ’40 del secolo scorso. Ignoravo tutto di lui. 

Avevo con me sempre la sua raccolta di poesie, il primo libro che acquistai dello stesso autore. Non sapevo scrivesse anche racconti. Una folgorazione. Non avevo idea che il primo racconto mi avrebbe accompagnato per tutti gli anni dell’università e ne avrei scritto la tesi di laurea. 

L’Aleph è un alfabeto. Un alfabeto è una serie di simboli ai quali associamo dei suoni e trasformiamo la loro unione in parole. L’elemento associativo crea infinite possibilità. Ogni lettera una parola, ogni parola una frase, ogni frase un testo. Infiniti incastri, infinite possibilità con un numero limitato di simboli. Una magia per certi versi misteriosa ed unica. 

L'Aleph

Una raccolta di racconti edita da Borges si intitola proprio così, L’Aleph, come un contenitore finito, limitato di simboli entro il quale si apre un’infinità di possibilità. I temi trattati nei racconti vanno dalla memoria, ai sogni, dall’idea del tempo che appartiene all’uomo a quella dell’infinito. Parlano dell’idea della morte, della sua essenza. Parla del fine ultimo delle cose, della vita. 

Vorrei citarvi molte più cose, ma lascio che siate voi a darvi il modo di scoprirle. Imparai con il tempo e la lettura a comprendere gli spazi e gli orizzonti che Borges narrava, la periferia di Buenos Aires, il sud del mondo, i Gauchos. Comparavo quel paesaggio con i miei paesaggi, con il mio mondo, con i cambiamenti. Imparai a decifrare gli scenari del mondo e i paesaggi della mia mente. Un mondo interno al quale raramente diamo voce. 

Jorge Luis Borges

Parafrasare, rileggere, reinventare

La lettura come l’ascolto della musica necessita di tempo, di sedimentazione. Oggi posso affermare, parafrasando il mio maestro, che i buoni ascoltatori sono ancor più rari e tenebrosi dei buoni compositori. Ascoltare, del resto, è un’attività successiva a quella di suonare: più rassegnata, più civile, più intellettuale. 

Ci ho impiegato anni a comprendere il senso ed il significato di quel “rassegnata”. Non lo avevo mai accettato, leggendolo le prime volte negli anni in cui la lotta, la ribellione e la rabbia di un adolescente, o giovane uomo, caratterizzavano la maggior parte dei miei stati d’animo. Rassegnare non è arrendersi in Borges, ma accettare (nella lettura o nell’ascolto) la volontà altrui, la volontà dell’autore o del compositore che stiamo leggendo o ascoltando. 

Come molti musicisti anch’io ho mosso i primi passi suonando le canzoni che ascoltavo, suonando sopra la musica, per replicare i brani che amavo maggiormente. Altre volte cercavo di improvvisare sugli stessi. 

Ascolto e suono si mescolano, come accade quando si fa musica con altri. Suonare insieme, spesso offre la rara occasione di ascoltare e “parlare” allo stesso tempo, senza prevaricare l’altro. Ma il puro ascolto è altro. L’ascolto si rassegna ad accettare. Non lotta come quando suoniamo. Non si mette in mostra. Non invade lo spazio altrui. Si concede un tempo diverso. Il tempo del dono, il tempo del presente, un regalo per noi e per l’altro. 

Buona lettura. Oppure oggi dovrei dire buon ascolto. 

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