Canzoniere è il nuovo lavoro della formazione pugliese nota per la lunga attività e l’assidua presenza nei più grandi festival della World Music. La raffinata produzione di Joe Mardin traccia un asse fra Lecce e New York valorizzando appieno le caratteristiche di canzoni che riescono ad essere moderne e radicate profondamente nella tradizione.
La difficoltà maggiore in questo tipo di operazioni è la misura nell’utilizzo di strumenti e arrangiamenti relativamente fuori contesto. È fin troppo facile limitarsi ad aggiungere una ritmica pesante sotto una chitarra battente e in passato non sono mancati gli esempi di folk-rock più o meno scontato.
Meno banale ma impegnativo, raggiungere l’obiettivo utilizzando quasi esclusivamente sonorità tradizionali, soprattutto percussioni, come in questo caso.
È da notare come la produzione di Mardin – figlio di Arif, personaggio chiave della Atlantic Records nel periodo d’oro – non arrivi mai ad appesantire o imbastardire il prodotto, tendendo anzi a valorizzare quanto c’è di autentico, lavorando di fino sulle dinamiche.
Tra abili arrangiamenti e ritornelli implacabili, il dialetto aiuta a dare il giusto sapore popolare a una serie di dodici composizioni originali.
In apertura, “Quannu te visciu” è una canzone delicata che sfrutta l’iteratività per avvicinarsi quasi a un efficace rap nostrano in un mix perfetto con melodia e armonie vocali.
“Ientu” è introdotta malinconicamente dall’organetto per poi giocare tutto su una ritmica intrigante e uno di quei ritornelli che non escono più dalla testa
“Lu giustacofane” è la canzone scelta per il primo (bel) video promozionale ed è aperta da una voce anziana che si scioglie nell’ipnotica strofa dove l’ultima sillaba si ripete, campionata. Il ritornello è una vera festa di voci e suoni. È sicuramente uno dei pezzi più forti dell’album.
Ritorna la malinconia in “Con le mie mani” che dal frizzante tappeto ritmico si evolve in un inciso struggente, rappato efficacemente sulle armonie vocali dello sfondo.
“Tienime” parte da una soave apertura di chitarra su cui campeggiano la voce delicata di Alessia Tondo e quella di Emanuele Licci nel background animato da violoncello, violino e clarinetto.
“Moi” è un inno alla musica come mezzo di espressione ma anche di identità. Nel finale uno dei momenti più vicini alla ritmica dei balli tradizionali, anticipando la “Pizzica de Sira” che affronta l’argomento senza mezzi termini, scendendo dal palco per arrivare direttamente in piazza in un tripudio di tamburi a cornice, violino, organetto e l’armonica a bocca che impazza.
“Aiora” è introdotta da un incedere solenne su cui entra a sorpresa la classica ritmica salentina: la canzone si riferisce a un rituale dell’antica Grecia che simboleggia la ricerca dell’equilibrio, lo stare appesi, la morte e la rinascita, la perdita della “verginità”. Alessia Tondo sfrutta qui tutte le sue inflessioni popolari in una sorta di “pizzica triste” arricchita dalla chitarra elettrica di Justin Adams, già fra i collaboratori di Robert Plant.
“Subbra Sutta” è un altro pezzo forte, con l’aggiunta della voce e della chitarra del songwriter anglo-francese Piers Faccini. È forte il sapore nord-africano nella ritmica e nei fraseggi suonati da un’isterica ciaramella.
“La ballata degli specchi” ritorna alla malinconia di fondo che anima gran parte del repertorio con pregevoli interventi del violino e della zampogna.
“Sempre cu mie” è ballata romantica con la sola chitarra ad accompagnare in tutta semplicità la voce solista e le armonie del ritornello.
La chiusura è lasciata a un altro pezzo trascinante, “Intra la danza”, uno dei momenti più riusciti del mix fra tradizione e cultura musicale moderna della formazione.
Gli arpeggi ossessivi del violino servono alla perfezione i parlati ritmici e l’incitamento del titolo, “Entra nella danza”.
Molti ospiti illustri accanto a Mauro Durante e compagni, fra cui Rasmus Bille Bähncke, produttore e compositore per Sting, Michael Leonhart, collaboratore di Bruno Mars e James Brown, Steve Skinner di Diana Ross e Celine Dion, Scott Jacoby di Coldplay e John Legend. Il violoncellista Marco Decimo ha lavorato a lungo con Ludovico Einaudi.
Una grande pulizia strumentale con incastri perfetti ed essenziali a lasciare tutti gli spazi vuoti necessari per valorizzare linee vocali e armonie. Gli arrangiamenti ritmici, in particolare, sono perfetti nella loro essenzialità. Belle canzoni e lo spirito giusto per mantenere un’identità artistica italiana in un contesto realisticamente internazionale.
È in pieno svolgimento la tournée del Canzoniere Grecanico Salentino che promuove l’album in Italia ed Europa.
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