Negli anni dei talent, delle vetrine, dei like, dei follower, del tempo che passa velocemente e che brucia ogni istante io, mi sento sorpassato e vecchio. Inevitabilmente mi sento vecchio.
Sono vecchio e non me lo nego. In un’altra epoca forse sarei anche già morto ed il mio motto di spirito sarebbe stato visto come una pazzia. Non rassegnarsi al tempo che scorre inevitabilmente.
Ma la medicina, le tecnologie, in pochi anni ci hanno permesso di allungare la nostra prospettiva di vita, nel giro di pochi secoli di raddoppiarla. Da un lato sicuramente è una cosa positiva, dall’altro lato della medaglia sento ed avverto che tutto questo tempo è mal gestito. Diventa un tempo a disposizione di cui non sappiamo che farcene e non lo viviamo pienamente.
Da qualche tempo seguo un progetto con molto interesse. In qualche occasione mi è stato chiesto di parlare ai giovani presenti, che partecipano con grande entusiasmo all’attività. Sto parlando di MusicOff Young.
In diverse occasioni abbiamo affrontato temi sempre diversi ed ho sempre cercato di incuriosire ed attirare i ragazzi alla riflessione. Non fermarsi mai dal domandare, dall’incedere nel dubbio e dal continuare a domandare.
Non nego che ogni mio articolo ha, come sfondo, l’idea di essere dato ad un pubblico di Young, in modo sottile e velato cerco sempre di parlare molto a loro, di lasciargli un seme, sperando che germogli. Oggi lo faccio in modo inequivocabilmente evidente.
Questa lettera è dedicata a voi, miei cari MusicOff Young.
Lo farò seguendo un esempio già scritto. Il libro che vi vado a proporre questo mese ha un percorso simile al vostro. Un giovane scrive ad un poeta affermato e chiede consigli. Uno scambio epistolare che diviene una raccolta preziosa di immagini utili a rinvigorire l’essenza vitale dell’essere artisti. Uso la parola artista perché non voglio limitare il cerchio, ma allargarlo.
Massimi Sistemi, piccole cose quotidiane.
Nell’abitudine del giorno, nel vivere quotidiano ci muoviamo costantemente con ritmi che abbiamo fatto nostri, con tempi che, a volte, si adeguano a delle esigenze, altre volte invece riusciamo a costruire secondo la nostra necessità. Le piccole cose quotidiane a volte ci inghiottono e ci fanno perdere di vista l’orizzonte di senso che la nostra vita dovrebbe avere.
Altre volte lo sguardo rivolto verso l’orizzonte, tanto vasto ed immenso, ci rende immobili nella quotidianità. Parlare o riflettere di massimi sistemi, ci allontana dal quotidiano, dal gesto, dalla prassi, dal fare concreto di ogni giorno.
Due estremi con i quali dobbiamo entrare in relazione costante, dal particolare all’universale e dall’universale al particolare, costantemente, dialogando con essi, conciliandoli e rendendoli entrambi veri, concreti, fattivi.
Secondo Wittgenstein, la realtà non è un insieme di cose, ma un insieme di eventi. L’ e-vento, il venire-da ci pone di fronte ad una condizione di movimento e non staticità della realtà. Anche le idee sono in movimento e con esse la nostra adesione o il nostro dissenso ad esse.
Cosa ci può aiutare, il dinamico fare della nostra quotidianità, o lo statico osservare della nostra riflessione. La risposta potrebbe essere sia nell’una che nell’altra istanza del nostro essere. A patto che siamo disposti a scendere in noi stessi, a guardarci nel profondo, a scavare entro noi stessi.
«Voi domandate se i vostri versi siano buoni. Lo domandate a me» [Rilke R. M. 1929]
Così interviene l’autore rispondendo ad una lettere inviatagli da un giovane poeta che chiedeva al “maestro”, se i suoi versi fossero buoni, se avessero un qualche valore.
La risposta di Rilke è sorprendente, quanto può sorprendere la verità che arriva, d’improvviso e fa vacillare le nostre intime certezze. Poche righe dopo risponde:
«C’è una sola via. Penetrate in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere» [Rilke R. M. 1929]
Penetrate in voi stesso e ricercate la ragione che vi chiama a scrivere. Questa frase potrebbe essere parafrasata per voi ragazzi con “la ragione che vi chiama a suonare”.
Penetrare in voi/noi stessi, è il modo per trovare e scovare una risposta. La parola penetrare ha un che di violento, di forte, anche di erotico se vogliamo. Penetrare è la lama di un pugnale che entra nella carne, è un proiettile che ci trapassa da parte a parte. Penetrare implica una forza, uno sforzo, una determinazione. A volte una violenza che non sempre siamo in grado di accettare in noi stessi.
Penetrare in noi stessi implica il fatto che non dobbiamo andare da nessuna parte a ricercare le ragioni del nostro essere, ma dobbiamo avere la forza di analizzare il profondo della nostra esistenza. Sempre in equilibrio tra il fare quotidiano ed il pensare meditativo, sempre in equilibrio tra la vita attiva e la vita meditativa. Non dobbiamo essere ne troppo sbilanciati nell’una, ne troppo coinvolti nell’altra.
Educare al dubbio. Educare il dubbio.
Eppure la nostra esperienza ci ha posto di fronte a delle difficoltà nelle quali ci siamo trovati immobili, nelle quali la possibilità del fare è venuta meno ed ha lasciato spazio alla fatica del pensare, dello stare nell’immobilità delle nostre idee.
Rilke lo sa bene e dona al suo interlocutore una serie di riflessioni profonde che mirano alla comprensione dei momenti di tristezza, di dolore e sconforto.
«Io credo che quasi tutte le nostre tristezze siano momenti di tensione che noi risentiamo come paralisi, perché non udiamo più vivere i nostri sentimenti sorpresi» [Rilke R. M. 1929].
Anche queste parole ci offrono un momento di riflessione e meditazione che non si deve abbandonare all’immobilità, ma deve trovare la strada del quotidiano, deve accompagnare l’azione, deve in qualche modo porsi all’interno di un equilibrio nel quale l’uomo può imparare a stare.
Tutto ciò è faticoso ma accrescitivo, formativo, generativo. A volte, però, è anche devastante, bloccante, deprimente. Ma una sana depressione è l’occasione per toccare con mano la profondità che ci appartiene e che spesso evitiamo per indugiare nella superfice del nostro esistere.
Anche l’incedere nel dubbio e nella domanda del perché della nostra condizione, del nostro stato d’animo può essere un aiuto costruttivo per non restare immobilizzati.
«E il vostro dubbio può diventare una buona qualità se lo educate» [Rilke R. M. 1929].
Il dubbio può divenire una buona qualità se viene educata, se viene esercitata e non lasciata a se stessa, senza una guida, senza un metodo per svilupparsi e crescere. Proprio come l’arte ha bisogno di essere educata, trovata, scovata, trasmessa, tramandata da generazione in generazione, da maestro ad allievo, anche il dubbio, che in noi cresce, come lecito domandare del nostro spirito, può e deve essere educato, per essere posto in modo costruttivo.
Educare d’altra parte significa, nella sua etimologia, condurre fuori, aiutare a scoprire in modo autonomo ciò che abbiamo dentro. Quando questa ricerca interiore diviene un bisogno, una necessità, allora il compito di educare noi stessi, la nostra passione, la nostra arte, il nostro dubbio, prendono la forma di un cammino interiore che può condurci alla verità.
Tutto ciò con il tempo, se ben educato, può divenire un bisogno, una necessità, lontana da stereotipi, da falsi miti, da like o visualizzazioni. Anche Rilke ci confida che…
«un’opera d’arte è buona, s’è nata da necessità» [Rilke R. M. 1929].
Buona lettura…
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