Di molti eventi sappiamo individuare con chiarezza l’istante in cui le cose hanno compiuto un’inaspettata curva a gomito uscendo definitivamente dal nostro controllo. “Saltare lo squalo” dicono in America, un’espressione nata per identificare il punto di non ritorno di una serie televisiva.
Oggi la stessa espressione risulta sensatamente applicabile a qualsiasi media, la musica in primis. È pur vero che riconoscere l’esatto momento in cui ci siamo trovati a gambe all’aria risulta complicato nei confronti di Morrissey. Sappiamo che è successo ma non capiamo quando.
Complici l’amore e la nostalgia per quanto l’artista ha regalato in passato, è come se il nostro cervello avesse sviluppato degli angoli ciechi, un sistema di difesa perfetto per negare difetti e incongruenze.
Non che nella sua ormai lunga carriera da solista i segnali di un distacco dal proprio seguito siano mancati, ma lo/ci salvava la certezza che il personaggio pubblico (tra dischi buoni e altri dimenticabili) e quello privato (fatto di esternazioni e avvenimenti esecrabili che talvolta abbiamo anche provato a giustificare) stessero a debita distanza l’uno dall’altro, separati da un solco profondo.
Con il suo nuovo album realizziamo che in tutto questo tempo Morrissey stava invece prendendo la rincorsa per saltarlo, quel solco, scegliendo di abbracciare il suo lato peggiore, costruendo intorno a sé una fortezza da cui berciare proclami.
Qualcuno lo sta davvero ad ascoltare?
I fan più hardcore non mancano, eppure sembrano sempre meno, sempre più assediati e con meno argomenti a disposizione per difenderlo. Prova ne è questo suo undicesimo lavoro in studio, l’ennesimo i cui i contenuti più interessanti arrivano dal comparto musicale.
Del Morrissey che – forse esagerando un poco – abbiamo assurto a Poeta, resta solo un artefatto.
Ci sono i titoli lunghi che costituiscono l’ossatura dell’intero brano (“Jacky’s Only Happy When She’s Up On The Stage”) e la voce è capace di piccole sorprese, come nell’articolata “I Bury The Living”, la traccia meno immediata del lotto ma anche la più interessante.
Presto però si scivola nella maniera o si scivola e basta, come in “Who Will Protect Us From The Police”; il titolo politico non tragga in inganno: è tutto autoriferito per i motivi più sbagliati (cercate online le seguenti keyword: “Morrissey Roma Guida contromano” e buona lettura).
Nessuno si aspetta oggi un reinventarsi, semmai qualche passo indietro (quasi accade in “I Wish You Lonely” e in “When You Open Your Legs”, in cui il nostro asessuato preferito finalmente ammette di perdere la testa non appena si ritrova con dei genitali sbattuti in faccia); ma per quanto tempo è possibile andare avanti a mangiare lo stesso piatto prima di accettare l’esistenza di cucine più buone?
Manca l’eccitazione in Low In High School e non è un caso che le vette del disco, pur presenti, si concentrino sull’arrangiamento, a partire dalla traccia di apertura “My Love, I’d Do Anything” con una sezione fiati magistrale. Allo stesso modo “Israel” dispiega uno spartito dalle elevate qualità narrative, con un attacco delicato che man mano matura tensione.
Forse a Boz e soci converrebbe cercarsi un nuovo cantante ma sappiamo che non accadrà mai. Ecco dunque un altro album featuring l’ex cantante degli Smiths.
Giovanni Linke
Aggiungi Commento